Neum 2000

19. - 24. 03. 2000.

Dott. Fra Franjo Vidović: LE PROFEZIE NELLE SACRE SCRITTURE E NELLA TRADIZIONE DELLA CHIESA
p. Sabino Palumbieri: LA CHIESA DI FRONTE AL MONDO DI OGGI UNA TENDA PIANTATA SULLA SOGLIA DEL MILLENNIO
Alfons Sarrach: MEDJUGORJE – UN TERZO OCCHIO IN DONO


I conferenzieri di quest' seminario sono:

Fra Franjo Vidovic, nato il 19 febbraio 1960 a Crnkovci presso Osijek, in Croazia. Ha portato a termine lescuole elementari e medie nel 1975 a Zagabria. Nel giugno 1979 ha conseguito la maturita presso il liceo classico francescano di Visoko. Il 15-07-1979 ha iniziato il noviziato nella provincia francescana dell'Erzegovina a Mostar. Ha trascorso gli anni dal 1980 al 1984 in un carcere, condannato a causa di 'attivita anti-comuniste'. Nel 1987 si e laureato in filosofia ' teologia e nel 1992 ha conseguito il magistrato di teologia presso la facolta di Augusta. Nel 1991 e 1992 ha svolto la propria attivita pastorale in Erzegovina (convento di Humac). Nel 1992 e stato cappellano militare nelle formazioni dell'esercito croato. Nel 1997 ha conseguito il dottorato in teologia biblica presso la facolta di Graz in Austria. Attualmente svolge opera pastorale a Weissenstein in Austria. Si occupa di attivita di abilitazione ed insegna teologia biblica del Nuovo Testamento presso la Univerita di Filosofia di gesuiti a Zagabria.

Sabino Palumbieri e nato a Lavello (PZ) nel 1934, appartiene alla Congregazione dei Salesiani di Don Bosco ed e sacerdote dal 1961. E laureato in filosofia e teologia con specializzazione in scienze umane. Attualmente e ordinario di antropologia filosofica presso l Universita Pontificia Salesiana (UPS). Saggista e pubblicista, e autore di numerosi stud sulle radici di fenomeni rilevanti del nostro tempo visti in chiave antropologica. Fondatore del movimento TR-2000 (Testimoni della risurrezione verso il Duemila) svolge attivita di animazione a livello nazionale in movimenti di confronto interculturale e di impegno umanistico-cristiano. E promotore di una nuova forma di pieta popolare relativa alla risurrezione di Cristo, la Via Lucis, che si va diffondendo in tutto il mondo.

Alfons Sarrach e nato nel 1927 nell'ex stato libero di Danzica ed e stato educato nella tradizione cultura-politica tedesca. Nel 1939, nel periodo del regime nazista, fu condotto insieme alla sua famiglia in un campo di concentramento. Dopo la II guerra mondiale ha studiato filosofia, teologia e psicologia a Roma e Parigi. Nel 1965 diventa un giornalista indipendente e successivamente redattore di argomenti politici per numerosi quotidiani. E' autore di numerosi libri e pubblicazioni. Nel 1993 pubblica il libro 'Prorocki zamah Medjugorja' che cerca di entrare in modo piu profondo nel mistero del grande impulso che, a partire dal 1981, proviene dalla piccola Medjugorje in Erzegovina e che ha aiutato milioni di persone in tutto il mondo che, dopo secoli in cui in molti stati l'odio ha dominato, hanno riscoperto il significato del futuro.

DICHIARAZIONE

Riuniti a Neum dal 19 al 24 marzo 2000 per il 7° incontro delle guide dei centri della pace e dei gruppi di preghiera, ci rivolgiamo agli amici ed ai pellegrini della Regina della Pace:

  1. Siamo nell’anno del grande giubileo della cristianitB. Cerchiamo di porre Gesj Cristo al centro della nostra vita, per poter contribuire al rinnovamento della Chiesa del nostro tempo e della nostra chiesa locale.
  2. Nei contenuti del programma del Giubileo e dei Messaggi di Medjugorje riconosciamo altri punti. Le parole della Vergine: “Fate tutto quello che vi dirB” (... ) ci rivelano che Gesj Cristo P sempre lo stesso ieri, oggi e sempre.
  3. L’annuncio della profezia evangelica P un compito di tutti i cristiani. Esso deve essere realizzato innanzitutto nella propria vita. Una vita coerente P il miglior annuncio. Lo stesso vale anche per la diffusione dei messaggi della Vergine.
  4. L’invito della Madonna alla pace ed ala riconciliazione deve essere presente in modo speciale nella nostra vita di individui, nella famiglia e nel gruppo, soprattutto nell’anno del grande Giubileo.
  5. Ancora una volta invitiamo tutti a conoscere meglio ed a tutelare la fonte della spiritualitB di Medjugorje.

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Međugorje, 24 marzo 2000.

Dott. Fra Franjo Vidović

LE PROFEZIE NELLE SACRE SCRITTURE E NELLA TRADIZIONE DELLA CHIESA

Il tema principale di cui si occupano le profezie nelle Sacre Scritture P quello del rapporto tra uomo e Dio. I profeti annunciano che P il lemma principale della vita umana, il fondamento dell’esistenza dell’uomo ed in modo particolare di quella del popolo eletto , il rapporto tra Dio e l’uomo. Un rapporto corretto con Dio P essenziale per la vita poiché da esso scaturiscono la gioia, il successo, il senso oppure l’ infelicitB, l’insuccesso e l’insensatezza dell’esistenza umana. Il fondamento dell’esistenza del popolo eletto P il rapporto con Dio manifestatosi nella storia. Credere in Dio, secondo le profezie del Vecchio Testamento, significa capire cosa Dio si prefigge per la vita del singolo e di tutto il popolo. La questione del rapporto tra Dio ed il popolo eletto contiene due problemi: quello relativo alla base del rapporto tra Dio ed il suo popolo e quello degli obblighi e delle aspettative derivanti per il popolo da questo rapporto. Naturalmente, accanto a tutto cib si pone anche la domanda: come interpretare la realtB storica sulla base di questo rapporto unico? Tutta la storia del popolo eletto viene osservata dal punto di vista del primo comandamento del decalogo: Jahve solus, non esiste altro Dio all’infuori di Jahve.

CosX, per i profeti, la storia del regno ebraico inizia con qualcosa di incredibile, Israele, oltre a Jahve, che P l’unico re per il suo popolo, desidera un altro re. La legge di Jahve si presenta come una legge regale. Ecco perché per i profeti P chiaro che tutta la storia del regno si concluderB con una catastrofe, con l’esilio. Israele non si P attenuta al primo comandamento: Jahve sarB il tuo unico Dio. Tutta la storia si misura rispetto alla fedeltB, o mancanza di fedeltB, a Dio.

Jahve P un Dio che si manifesta con la parola; a differenza delle errate opinioni secondo le quali si vede in Dio un ideale estetico, Dio che si rivela P Dio che manifesta la sua parola, Egli invita, comanda, promette. Il Dio della scelta si presenta agli uomini non come un oggetto di contemplazione estetica; infatti il dialogo e l’obbedienza sono la base della sua rivelazione. Per dirla pij semplicemente: non si pub vedere Jahve, ma lo si pub ascoltare. Jahve si trova al centro del pensiero profetico, ma non lo si pub e non lo si deve presentare con un’immagine, una statua o con qualcosa di materiale. Jahve si manifesta nella storia come un grande IO– ani hu, io sono. Questo IO parla, agisce, decide; questo IO non deve essere identificato né con un determinato luogo né con una determinata immagine. Il singolo si interpreta rispetto all’ascolto, o al mancato ascolto della Parola – la Legge di Jahve.

Il concetto di profeta

La parola ebrea profeta, nabi, proviene dal termine accademico nabu, che significa chiamare, annunciare, significare. Secondo l’equivalente greco ZV ö y ôç b il profeta P colui che chiama, che parla, che annuncia. Tuttavia questo termine pub anche essere interpretato e compreso cosX: il profeta P colui che P chiamato. Dietro la forma passiva di questa parola si cela un Dio attivo, un Dio che chiama.

Nelle Sacre Scritture, nel Vecchio Testamento, incontriamo la parola nabi – profeta, 309 volte. Negli antichi testi delle Sacre Scritture per il profeta abbiamo la caratteristica dell’uomo di Dio, (’isch ha’aelohim) o anche veggente (ro’oh; hozÉh). Sembra che quella dell’uomo di Dio sia una caratteristica di tutte le grandi guide del popolo eletto del Vecchio Testamento come MosP (Pnz 33,1) e Davide (Ne 12, 24.36). In modo particolare questo titolo spetta al profeta Elia (29 volte). Questa definizione indica uno stretto rapporto tra il profeta e Dio, con colui che lo chiamato.

Il veggente ha la capacitB di scoprire quello che P nascosto o almeno quello che accadrB (1Sam 9, 9-19). Per il veggente P importante quello che vede, per il profeta quello che dice (Is 30, 10). Il profeta vive la rivelazione di Dio come manifestazione di un’immagine – egli “vede” – e come manifestazione della parola – egli “sente”. Il profeta vede “volti” (cfr. Am 9, 1e segg.; Is 6, 1e segg.) e vede anche i rapporti tra le cose che gli altri non vedono, egli vede “pij approfonditamente” e “pij lontano”. Le cose che avvengono nella quotidianitB per lui hanno un significato particolare, servono come simboli della volontB di Jahve: un comune cesto “pieno di frutti” per il profeta Amos P il simbolo del popolo “maturo” per l’esilio (cfr. Am 8, 1-2), oppure i problemi del matrimonio diventano per Hošeu il simbolo del rapporto tra Israele ed il suo Dio (cfr. Hoš 1, 2 e segg.). Il profeta riconosce i segni di Dio negli avvenimenti quotidiani. La caratteristica principale dell’opera profetica P la sua parola. Il profeta P un uomo “di parola”. La parola di Jahve lo raggiunge, Jahve gli parla (cfr. Hoš 12, 11), queste parole di Dio rendono il profeta un vero profeta.

In tutte le profezie del Vecchio Testamento individuiamo tre lemmi che coincidono, che in parte si compenetrano e sono essenziali per un’autentica profezia: il profeta, sulla base della sua esperienza, ha un rapporto speciale con Dio. All’inizio della loro esistenza profetica, la maggior parte dei profeti ha un’esperienza particolare di Dio; il profeta P scelto da Dio, P “separato”, “la mano di Jahve lo tocca” (Gr 1, 9), si appoggia su di lui (Ez 3, 14), Jahve lo ha preso, sopraffatto, guidato, ammaliato (Gr 20, 7); il profeta P colto dallo Spirito (Ez 2,2), egli P uomo dello Spirito (Hoš 9, 7). In questo modo il profeta diventa “uomo di Dio” – un appellativo specifico del profeta ad esempio in 1Sam 2, 27 e segg. Il profeta P un amico di Dio, un suo fiduciario, “servo di Jahve – ebed Jahve”. La scelta profetica contiene in se tutte queste caratteristiche.

Il secondo elemento tipico del profeta P la sua missione. Jahve ha scelto ed inviato il profeta. Per la sua missione profetica, Jahve gli ha donato il suo Spirito, con la forza di questo Spirito egli agisce in nome di Dio, parla nel suo nome, diviene “bocca di Dio” (cfr. Is 6, 8; Jr 1, 7). In base alla propria missione il profeta deve chiamare i suoi ascoltatori: “Ascoltate la parola di Jahve”, alla sua parola profetica dona la caratteristica di “parola di Jahve”. Questo parlare in nome di Jahve, al posto di Jahve P una delle caratteristiche di una vera profezia.

Il profeta non P soltanto chi parla al popolo in nome di Jahve, ma anche colui che al tempo stesso parla a Dio in nome di Israele, come emerge in modo particolare nella preghiera di intercessione profetica, ad esempio 1Sam 12, 17-25; Am 7, 2. 5; Gr 18, 20. Il profeta ha un ruolo di mediatore: da un lato egli media tra Jahve ed il suo popolo e dall’altro tra il popolo ed il suo Dio.

Il servizio profetico contiene in sé anche un servizio di protezione; il profeta veglia su Israele (cfr. Ez 3, 17). Il profeta P come un pastore che ha la responsabilitB del proprio gregge (cfr. Ez 3, 17-21).

Vari gruppi profetici nel Vecchio Testamento Razli P ite proro P ke grupe u Starom zavjetu

Nei testi del Vecchio testamento ci imbattiamo in vari tipi di profeti:

A) La tipologia pij antica P quella che incontriamo nel Vecchio Testamento, la cui caratteristica principale P quella del rapimento; questi profeti si spostano all’interno di Israele e con l’aiuto di strumenti musicali cadono in uno stato di estasi; quando si trovano in questo stato, essi pronunciano un certo messaggio (glossolalia – 1 Cor 14). L’estasi P “contagiosa”, ed anche Saul all’improvviso si ritrova “in mezzo ai profeti” (1Sam 10, 5 e segg.; 1Sam 19, 18 e segg.). La Bibbia dice che anche i profeti di Baal erano estatici (1Re, 19-40). Questi profeti attirano il popolo di Israele (1Sam 10, 5 e segg.), e molti li considerano come “folli” (Hoš 9, 7).

B) Nel primo e nel secondo libro dei Re ci imbattiamo in un gruppo di profeti con caratteristiche monastiche; si parla di “figli” dei profeti.

Tali comunitB profetiche sorgono attorno a singoli individui che sono grandi profeti, ad esempio attorno al profeta Elia (2 Re 2, 3 e segg.). Elia si batte contro il sincretismo del popolo del suo tempo ed in favore di Jahve che P l’unico Dio e della purezza della fede nel vero Dio. Esiste il pericolo che la fede in Jahve, che P l’unico Dio, si mescoli con le fede negli dei dei popoli pagani, con una fede che affonda le sue radici nei fenomeni naturali.

Il profeta si comporta come un “padre” per i suoi “figli”, essi siedono ai suoi piedi, da lui apprendono e vivono insieme a lui. Accanto alle comunitB che si raccolgono attorno a singoli profeti, troviamo quelle comunitB profetiche che si radunano attorno a singoli santuari (ad esempio 1Re 13, 11- i profeti che si raccolgono attorno al santuario di Betel; 2 Kr 2, 35 – i profeti riuniti attorno al santuario di Gilgal, Jerihon, Bet-El. Tra questi profeti l’estasi non ha pij il ruolo che invece aveva per gli antichi profeti. Cib che contraddistingue questo gruppo P il talento dello Spirito. Questo talento si manifesta nelle loro opere miracolose (2 Re 2, 19-22; 2, 23-25; 4, 1-7. 18-37). Questi profeti sono impegnati in modo particolare in quello che oggi definiremmo la salvezza dell’anima (cfr. Eliseo - 2 Re 4, 1-7.8-37; 5, 1-14).

C) Le Sacre Scritture riconoscono anche i cosiddetti profeti “ufficiali” di “culto”. Essi si trovano vicino ai santuari. I profeti di culto si differenziano dai profeti delle Scritture che nelle loro critiche non risparmiano neppure i templi, né i sacerdoti che prestano la loro opera all’interno dei templi. I profeti di culto si trovano affianco ai sacerdoti che eseguono il culto. Il loro ruolo consiste nel fornire una profezia sia al popolo, sia al Re, qualora cib fosse loro richiesto. Essi esercitano un grande influsso a corte (cfr. 1 Re 1, 8). Questi profeti hanno elaborato un proprio linguaggio profetico.

D) Con la creazione del regno di Israele, inizia una nuova epoca per il movimento profetico. L’estasi, i miracoli si mettono in secondo piano, mentre in primo piano ci sono la parola e l’annuncio della parola. I profeti si allontanano sempre pij dal culto, dalle istituzioni e dai palazzi dei re. Dal profeta Amos, fino al profeta Malachia, la caratteristica e lo strumento principale della profezia P la parola. L’unica opera del profeta P rappresentata dai segni che non sono un’illustrazione, ma una formazione anticipata della parola (cfr. Hoš 1, 4. 6. 9; Is 7, 3; 8, 3; 20, 2; Gr 16, 2.5.8).

E) L’opera dei profeti:

Tre sono le epoche classiche dell’opera profetica:

1. Il periodo della caduta del Regno settentrionale (all’incirca 721. A. C.).

2. Il periodo della caduta del Regno meridionale (all’incirca 597/87. A. C.).

3. Il periodo dell’esilio (all’incirca 539 A. C) .

I profeti indirizzano il proprio messaggio al popolo di Israele ed a tutti i popoli. Nei loro messaggi essi legano il passato, il presente ed il futuro. La dimensione del futuro P riferita all’annuncio (il futuro si lega al presente, a coloro con cui il singolo si confronta nella quotidianitB) e non alla predizione (nel futuro avverrB quello che P stato previsto nel presente).

Il Vecchio ed il Nuovo Testamento riconoscono uomini e donne profeti; cosX abbiamo la profetessa Miriam, Debora, la donna del profeta Isaia (cfr. Is 8, 3), la profetessa Hulda. Lo spirito profetico deve pervadere tutto il popolo, dicono i profeti (cfr. Br 11, 29; Gl 3, 1-5), tutto il popolo deve diventare profeta.

I temi principali dell’annuncio profetico

Il compito del profeta P quello di annunciare la parola di Dio; in questa parola si rispecchia la volontB di Dio. La rivelazione della parola di Dio avviene in vari modi. Pij di frequente, si tratta di un messaggio per mezzo del quale Jahve invita a rispettare la sua legge, una parola che racchiude in sé da un lato una minaccia, se si persevera lungo la via che conduce alla perdizione, e dall’altro la promessa di salvezza, se si ascolta questa parola.

I testi dell’Antico Testamento evidenziano che la profezia, in Israele, P un fenomeno molto stratificato, un fenomeno che non pub essere ricondotto ad un denominatore comune, ma che comunque mostra determinate leggi e caratteristiche comuni.

Indipendentemente dalle singole profezie, che si differenziano per il loro stile e contenuto, vi sono determinate similitudini tra i profeti, che possono essere facilmente accertate.

L’annuncio della condanna

La caratteristica principale dei “vecchi profeti”, quelli prima dell’esilio, P il monito, la minaccia di una condanna. Il messaggio profetico viene rivolto sia ai rappresentanti del popolo, sia a singoli gruppi nel popolo, che si sono allontanati dalla fede “di Abramo, Isacco e Giacobbe”. Questi profeti annunciano la pena di Dio che si manifesta sotto forma di siccitB, terremoti, guerre, ma al tempo stesso nel loro annuncio P racchiuso anche un invito alla conversione. Le sventure che interessano sia il singolo, sia il popolo vengono interpretate come la punizione per il peccato del popolo, dell’individuo all’interno del popolo o dei rappresentanti del popolo. Per i profeti il peccato P rappresentato dal comportamento del popolo che si contrappone all’opera di Dio nella storia. CosX Isaia invita alla conversione perché il popolo cerca altrove, ma non nel proprio Dio. I profeti Amos e Michea annunceranno condanne per il popolo derivanti dal mancato rispetto della legge divina. Gioele, Geremia ed Ezechiele considereranno infedele il popolo che, invece di Jahve, cerca altri dei.

L’annuncio della salvezza

Il messaggio di salvezza dei profeti non si fonda sulla questione: cosa accadrB dopo il giudizio di Dio, ma si basa sulla volontB di Dio, su Dio che desidera la salvezza per il suo popolo. Dio P colui che intende salvare il popolo. La salvezza non P condizionata come una punizione che arriva come conseguenza del peccato. Nel messaggio di salvezza Dio promette di aiutare il suo popolo in futuro (cfr. Is 41, 17 e segg.). Nell’annuncio della salvezza P giB descritto quello che accadrB (Is 11, 1 e segg.). L’annuncio della salvezza domina principalmente nel momento della persecuzione e dopo la persecuzione. La salvezza che i profeti annunciano si manifesterB in vari campi come nella creazione di un nuovo rapporto tra Dio ed il popolo eletto, nell’istituzione di un nuovo stato popolare, nella liberazione del popolo e politica. La salvezza che Dio promette al suo popolo non ci sarB perché il popolo P diventato migliore; essa non si fonda sulla fedeltB e sulla conversione del popolo, ma soltanto nella volontB di Dio, nella sua fede, santitB e nel suo amore per il suo popolo.

Sulla base del suo invito e delle proprie riflessioni, i profeti presentano un modello di Israeliano fedele. Essi dimostrano che Dio si fa mettere alla prova, sebbene quest’esperienza divina sia spesso dolorosa (cfr. “la confessione di Geremia”). I profeti annunciano che il cambiamento dell’uomo P possibile per mezzo della forza della parola di Dio.

Per i profeti del Vecchio Testamento P tipica la “ubriacatura sobria” con la parola di Dio (cfr. Gr 15, 16; 23, 9.29), l’esistenza profetica viene meno nella forza del loro annuncio profetico.

Il Vecchio Testamento considera il profeta come colui che P chiamato in modo speciale da Dio per annunciare la sua parola, mettere in guardia, consolare, insegnare, guidare. Egli P totalmente dipendente da Dio che lo ha chiamato e responsabile soltanto nei suoi confronti.

La tematica principale affrontata dai profeti P il sincretismo del popolo ebraico, il venire meno di un giusto rapporto nei confronti di Jahve, ovvero la violazione del primo dei dieci comandamenti: Jahve solus.

Il messaggio profetico del Nuovo Testamento

Incontriamo la parola “profeta” 144 volte nel Nuovo testamento, soprattutto in Matteo (37) e Luca (29 volte, Atti 30 volte). Lo stesso termine indica chi annuncia o interpreta la parola di Dio. Con la parola profeta si indica il profeta del Vecchio Testamento, Giovanni Battista, Gesj e qualsiasi altra persona che annuncia la venuta del regno del cieli, oppure un cristiano che possiede il dono della profezia.

Gli uomini e le donne che annunciano la Parola sono definiti profeti e profetesse.

La profezia nel Nuovo Testamento mostra delle similitudini con quella del Vecchio testamento: cosX ad esempio nel nuovo Testamento troviamo la profezia dell’ammonimento (cfr. 1Cor 14, 3.31), una profezia che indica avvenimenti futuri (cfr. Mt 26, 68; 15, 7).

Secondo il profeta il Nuovo Testamento sottintende:

Profezia del Vecchio Testamento

Il profeta del Vecchio Testamento viene considerato come colui che pronuncia la parola di Dio, egli P la “bocca di Dio” (Is 15, 19). I profeti del Vecchio Testamento annunciarono quello che avvenne a Gesj Cristo, dice il Nuovo Testamento (cfr. Mt 1, 23; 2, 5 e segg.15.17 e segg. 23). Secondo Matteo, il Vecchio Testamento possiede un’autoritB assoluta, in Gesj si compie quello che i profeti del Vecchio Testamento avevano annunciato. In base alla profezia del Vecchio Testamento, Gesj P riconosciuto come il Messia promesso. Cib che colpisce in modo particolare P la somiglianza tra la morte da martiri dei profeti e la morte di Gesj (cfr. Mt 23, 31; Mt 23, 37; At 7, 52). Al periodo ebraico di Gesj come pure al primo martirio cristiano appartiene l’immagine del profeta (cfr. Mt 23, 25).

Giovanni Battista

Nel Nuovo Testamento Giovanni P insignito del titolo di profeta; il suo annuncio P nello stile di quello del Vecchio Testamento, egli annuncia il giudizio ed invita alla conversione. Nel suo annuncio egli invita al riassetto morale e mette in dubbio la certezza della fede ebraica. Egli invita al battesimo, che si differenzia dal lavaggio per mezzo del quale i proseliti aderiscono alla religione ebraica ma anche da quello praticato dalla comunitB di Qumran. Il battesimo di Giovanni P il simbolo di un’avviata epoca escatologica che caratterizza la conversione interiore che P il presupposto della salvezza e che non P assolutamente un miracolo, al punto che i contemporanei di Giovanni si chiedono se non sia lui l’atteso profeta escatologico (cfr. Mt 11, 8 e segg). Il Nuovo Testamento vede in Giovanni colui che annuncia, prevede, dB una “testimonianza” (Gv 1, 36) della profezia escatologica manifestatasi nella persona di Gesj di Nazaret. Il battesimo dello stesso Giovanni P la manifestazione del battesimo cristiano.

Ges j Cristo

Il Nuovo Testamento non attribuisce spesso a Gesj l’appellativo di profeta. Il “mondo” che ascolta Gesj lo definisce profeta (cfr. Mc 6, 15). Gesj stesso non si definisce mai profeta nel vangelo (cfr. Mt 12, 41). Gesj non soltanto annuncia la salvezza, ma essa P giB presente nella sua persona (cfr. Lc 10, 24).

I cristiani

La prima comunitB cristiana ha dei membri dotati dello spirito della profezia. La loro presenza all’interno della comunitB indica che la comunitB in quanto tale possiede lo Spirito. Probabilmente questo dono fu precocemente istituzionalizzato all’interno della comunitB: esso acquisisce un ruolo definito ed P collegato ad una funzione specifica nella comunitB. Chi P dotato dello Spirito P nella stessa categoria di apostoli e discepoli (1Cor 12, 28 e segg., Ef 4, 11), o accanto ad “apostoli e santi” (Ap 18, 20).

Nelle comunitB di Paolo il dovere delle persone dotate dello spirito P quello di mettere in guardia la comunitB (cfr. 1Cor 14, 3. 24 e segg. 31), consolarla (1Cor 14, 23 e segg.), edificarla (1Cor 14, 3), rivelarle i misteri e donarle la sapienza (1Cor 13, 2). La rivelazione profetica deve avvenire con parole comprensibili e senza inutili entusiasmi (1Cor 12, 1; 14, 15 e segg., 23 e segg.). Paolo si preoccupa che nelle comunitB, soprattutto in quelle che si occupano del servizio liturgico, regnino l’ordine e la pace, egli impedisce che pij profeti contemporaneamente effettuino le loro profezie, lo spirito della profezia P soggetto ai profeti, dice Paolo (1Cor 14, 32). Questo “essere soggetto” deve essere interpretato come soggetto all’ordine ed alla pace che vengono da Dio. Il profeta deve sapere e tacere.

Nella lettera agli Ef 2, 20 i profeti “rientrano” nella comunitB. Cib fa presagire che il tempo della “profezia”, del servizio profetico alla comunitB P finito; la profezia fa parte del “fondamento della comunitB”.

Il monito contro i falsi profeti in cui ci imbattiamo evidenzia che il numero dei profeti nella prima comunitB cristiana era davvero molto elevato.

Gli Atti degli Apostoli parlano in numerosi punti delle profezie e dei profeti. Il motivo di tutto cib va ricercato nella teologia del Vangelo di Luca che divide tutta la storia dell’umanitB in tre periodi (il periodo di Israele, il periodo centrale ed il periodo della Chiesa). Quest’ultimo, il periodo della Chiesa, ha inizio con l’avvento dello Spirito (At 2, 1 e seg.) ed occupa il posto di maggior rilievo negli Atti degli Apostoli. Questa terza epoca P definita l’epoca dello Spirito, un periodo nel quale tutti i cristiani possiedono il dono dello Spirito, un dono che in altre epoche possedeva soltanto Gesj. Il segno dell’epoca dello Spirito P evidente anche nel grande numero dei primi profeti cristiani che vengono menzionati (cfr. At 11, 27 e segg; 13, 1; 15, 32; 21, 9 e segg.), e nella concezione secondo la quale tutti i cristiani sono portatori dello Spirito e dunque possiedono il dono profetico (At 2, 17 e segg.; 19, 6).

Colui che scrive il libro dell’Apocalisse si definisce un profeta (Apocalisse 22, 9). Secondo il Libro dell’Apocalisse al profeta vengono rivelati i misteriosi piani divini (1,1); egli ha delle visioni (6, 1-19, 10). Il profeta mette in guardia e consola (2-3 e segg.). Alle sue parole si attribuisce un’importanza straordinaria (22, 18 e segg.).

La profezia esisteva giB nella prima Chiesa cristiana, come ci dimostrano gli scritti (Did 10, 7; 11, 7-12; 13, 1-7; Justin Dial. 82, 1), ma a causa dell’abuso era scivolata in una tale crisi da arrivare ad una lenta scomparsa, fino a perdere la propria importanza. Le istituzioni acquisiranno sempre pij il ruolo9 del profeta, come l’unica persona autorizzata ad interpretare la Parola e l’opera di Dio nel mondo.

Le Sacre Scritture e la tradizione ecclesiastica vedono nel profeta, sebbene non in modo esclusivo e con una certa sfiducia, colui che prevede le cose future, le cose che accadranno. Percib, se quello che egli ha detto si avvera, cib serve a distinguere il vero dal falso profeta. I profeti e le profezie del Vecchio Testamento si sono realizzati nell’accettazione del Nuovo testamento in Gesj Cristo. Per i contemporanei di Gesj, Egli ha le caratteristiche dei profeti del Vecchio testamento: Egli prevede il proprio destino, ma anche quello della sua dottrina.

Il Nuovo Testamento interpreta la profezia innanzitutto come spiegazione della volontB di Dio nel presente, in una determinata situazione ed in un determinato luogo. Il profeta annuncia quello che Dio si aspetta dall’uomo in una determinata situazione, le sue parole sono innanzitutto parole nel presente.

Il discorso profetico P essenzialmente determinato da una parresia – un modo di parlare aperto, coraggioso, non timoroso, un discorso nel quale si dice quello che si pensa. L’autoritB profetica ha il suo fondamento nella parresia, nel parlare apertamente al mondo.

Parlare profeticamente significa liberarsi da false considerazioni e questa parola contiene in sé anche la disponibilitB ad “esporsi” alla Parola di Dio. Parlare profeticamente significa “essere chiamati” al servizio profetico; il profeta non parla “da sé”, per mezzo della propria forza e saggezza, ma parla per mezzo della forza di Dio. L’invito profetico P carismatico; non P collegato ad un determinato servizio ma ad una determinata situazione nella quale la Parola di Dio deve essere pronunciata in modo totalmente aperto e coraggioso.

“La differenziazione degli spiriti” (1Cor 12, 10)

La differenziazione degli spiriti P legata profondamente al servizio profetico. Ci sono profeti giusti e sbagliati e questi ultimi confondono le proprie concezioni con la parola di Dio. GiB nel Vecchio Testamento si riconoscono i profeti, anche se non erano stati chiamati né delegati da Dio. Anche il Nuovo Testamento individua questi falsi profeti e mette in guardia la comunitB dei credenti a non dare loro fiducia (cfr. Mt 7, 15; 24, 11; 1 Gv 4, 1). Si pone dunque l’interrogativo dei criteri da utilizzare per distinguere i profeti veri dai falsi. I criteri che permettono di distinguere i profeti veri da quelli falsi sono gli stessi, sia nel Vecchio sia nel Nuovo Testamento. CosX ad esempio per il Vecchio Testamento uno dei criteri P quello della consapevolezza del profeta di essere stato chiamato, della “sofferenza” che non permette di tenere per sé la parola di Dio; il profeta deve rivelarla nel nome di JahvP (cfr. Gr 20, 9; 23, 16; Am 3,8). Anche il Nuovo Testamento riconosce questo criterio carismatico: solo chi possiede lo Spirito pub permettersi di parlare nello Spirito (cfr. 1Cor 2, 11). Accanto a questo criterio soggettivo ce ne sono anche degli altri che permettono di distinguere le profezie vere dalle false, ad esempio: la fondatezza del messaggio profetico nell’ambito del messaggio biblico, il messaggio coglie la situazione a cui si riferisce, la convinzione personale dell’esperienza profetica. Se la vita individuale del profeta non rispecchia quello che Dio chiede, allora egli non P stato mandato da Dio (cfr. Gr 23, 14; 29, 23). Secondo la concezione cristiana il vero profeta P colui che nella propria vita realizza quello che predica ed insegna, la sua vita deve portare “buoni frutti” (cfr. Mt 7, 16; Apoc. 2, 20). Il messaggio profetico deve servire ad edificare ed incoraggiare la comunitB a cui P rivolto (cfr. 1Cor 14, 3). L’annuncio profetico deve essere in sintonia con le antiche profezie (cfr. Gr 28, 7 e segg.). La profezia del Nuovo Testamento deve essere in sintonia con l’annuncio cristiano fondamentale (1Gv 4, 1 e segg.; 1Cor 12, 3). Il vero profeta non pensa al proprio tornaconto, non cerca di accattivarsi i favori, né P disposto ad accettare compromessi quando si tratta del messaggio di Dio.

All’invito profetico P legato indissolubilmente anche il destino del profeta. Dal momento in cui viene chiamato, il profeta non appartiene pij a se stesso, ma a Dio che lo ha chiamato. Dio non soltanto chiama il profeta per inviarlo dal suo popolo , ma lo invia al popolo. Nell’essenza dell’esistenza profetica biblica rientra necessariamente anche la persecuzione a causa della parola di Dio– martirio (cfr. 1Cr 19, 10.14; Gr 11, 18 e segg.; 20, 2; 26, 8 e segg.). Sul volto dei profeti si legge tutta la tragedia della loro chiamata ma questa tragedia dona al popolo a cui essi sono inviati benedizione e salvezza (cfr. Is 50, 6; 52, 14-53). Il Nuovo Testamento riprende il tema del profeta perseguitato e lo applica a Gesj ed ai suoi discepoli. Il destino di Gesj, come quello dei suoi profeti, P il destino dei profeti (cfr. Mt 5, 12; Lc 13, 33).

Il profeta biblico P una persona che P assalita interiormente ed esteriormente, una persona che sopporta una forza interiore ed esteriore, ma il profeta vive la propria missione innanzitutto come una grazia e non come un peso. Il profeta vive momentaneamente una speciale vicinanza a Dio e tale vicinanza gli dona la forza per continuare ad agire. Egli avverte momentaneamente la sua scelta profetica, sente l’amore di Dio, l’amore di Colui che lo ha chiamato (cfr. Is 49, 1-4) affinché sia il suo testimone nel mondo, un mondo che ha dimenticato il primo dei Dieci Comandamenti: “Dunque Israele, cosa ti chiede Jahve il tuo Dio?” Solo di temere Jahve, il tuo Dio e di camminare lungo le sue strade, di amare e servire Jahve, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima” (Pnz 10, 12).

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P. Sabino Palumbieri

LA CHIESA DI FRONTE AL MONDO DI OGGI UNA TENDA PIANTATA SULLA SOGLIA DEL MILLENNIO

INDICE

  1. Chiesa, tenda permanente
  2. Uno stimolo di ritorno in avanti
  3. Per uno sviluppo integrale
  4. Sintesi come salvezza
  5. SolidarietB, una risposta alla sfida della globalizzazione
  6. Gli ultimi, i primi: prassi messianica
  7. Il Sud del mondo, nuova frontiera
  8. Urgenze e stimoli
  9. NovitB e incarnazione
  10. Nuova evangelizzazione, passaporto per il futuro
  11. Speranza sulla frontiera

ALLEGATO DI DOCUMENTAZIONE

  1. Disagio di civilt
  2. Tra emergenza e impotenza
  3. Tra scomesse e contrasti

LA CHIESA DI FRONTE AL MONDO DI OGGI UNA TENDA PIANTATA SULLA SOGLIA DEL MILLENNIO

1. Chiesa, tenda permanente

La storia presenta caratteristiche, che esprimono la matura­zione di certi processi evolutivi di umanizzazione all'interno del divenire temporale. «Segni dei tempi», comincib a chiamarli Giovanni XXIII, con un'espressione che il Vaticano II avrebbe fatta sua[1], come lampeggiamenti della Provvidenza di Dio nella storia.

La Chiesa, incarnata nella storia a servizio del mondo, nel tempo della generazione della soglia, soggetto a cambi radicali, non pub che comportare, proprio nel processo di giovinezza, una modalitB diversa di presentazione e indicare segni di trasforma­zione.

In questo quadro, il volto della Chiesa del terzo millennio va decisamente cambiando. Dai lineamenti prevalentemente occiden­tali sta passando ad acquistare tratti ispirati alla mondialitB e marcati dalla terzomondialitB. Le giovani Chiese tendono a far giovane la Chiesa intera, cioP a rinnovarne la fisionomia.

Cib si verifica anzitutto sul piano quantitativo. Si regi­stra il dato del calo di supremazia numerica delle Chiese di Oc­cidente. All'inizio del secolo XX, tali comunitB si attestavano sull'85% del totale. Nel Duemila saranno solo il 40%. Quelle dei paesi del Sud del mondo sono - nonostante le notevoli emorragie verso sette e movimenti religiosi di altro segno - in aumento esponenziale.

Sul piano qualitativo, poi, la tendenza che si registra P verso una inculturazione dei contenuti della fede. E' questa la forma fondamentale dell'incarnazione della Chiesa nel tessuto dei drammi e delle attese degli uomini: un rinvenimento del polo dell'ortoprassi, in feconda interazione con quello dell'ortodos­sia. Un impegno per la veritB dell'amore, come credibilitB dell'amore della veritB.[2].

Johann Baptist Metz dichiara in merito: «La chiesa cattolica non comprende pij la chiesa del Terzo mondo, ma P lei stessa la chiesa del Terzo mondo con origine occidentale ed europea»[3]. Si assiste, cosé, al passaggio da una Chiesa culturalmente monocen­trica ad una Chiesa culturalmente policentrica, pur conservando ovviamente la sua struttura cattolica di comunitB gerarchico-primaziale, come da divina costituzione, cioP insieme con Pietro e con la guida di Pietro.

In questo panorama, il senso dell'universalitB, tutt'altro che rarefarsi, si respira a polmoni pij larghi. Le antiche egemo­nie culturali, storicamente spiegabili, cedono il passo alla pa­ritB di dignitB e di espressione.

La Chiesa universale P il corpo di Cristo esteso sul piane­ta, nel senso dell'unitB vitale e della varietB delle membra cul­turalmente diversificate. La molteplicitB dei carismi, in questo quadro, si fa presente anche con tessuti variegati, che costitui­scono il corpo in cui si prolunga il mistero del Verbo incarnato.

L'inculturazione P come un principio di legge fisiologica e, «co­me conseguenza concreta di cib, quello della legittima pluriformitB»[4]. Inculturarsi significa partecipare dall'interno alle dinami­che delle culture. Che sono realtB estremamente mobili, sommamen­te oggi intercambiabili, in regime permanente di fragilitB, di ambiguitB, di minaccia, di rischio. Inculturarsi non dice solo, dunque, inserirsi, bensé piutto­sto inter-esse: essere uno con i popoli, ma all'interno della lo­ro faticosa ricerca di identitB, di unitB, di stabilitB dinamica. Che, ben lungi dall'essere staticitB tranquilla, P tensione e composizione di tensioni verso l'ardua meta del binomio pace-giustizia.

La nuova prospettiva impone nuovi imperativi, che discendono dal perenne codice genetico dell'organismo vivente della Chiesa, ma che sono avvertiti secondo gli impulsi vitali della nuova cultura[5].

Il dono di giovinezza, elargito dallo Spirito alla Chiesa, P chiamato a misurarsi con l'impegno dei discepoli del secolo XXI, di null'altro premurati che di presentare al mondo il volto rin­novato della speranza. Siamo alla duplice icona della Chiesa, come carovana in mar­cia nel deserto e come rivestita del grembiule del giovedé santo. Essa, infatti, P proletticamente simboleggiata nell'antico Israe­le pellegrinante. Ed P, altresé, il prolungamento vivo del Cristo-sposo, che si inginocchia davanti all'uomo stanco, per la lavanda dei piedi. E che, emblematicamente, a questo punto tocca l'obiettivo della sua opera di incarnazione.

La Chiesa, icona della Sollicitudo rei socialis e della sol­licitudo historiae populorum, P il sacramento - segno-strumento - della premura di Dio per il mondo d'oggi, che, nonostante tutto, egli continua ad amare[6]. Ed P percib la Chiesa della tenda pla­netaria.

Il mondo presente P un panorama che si P configurato nuovo nell’ultimo secolo del millennio. Il quadro generale non si presenta uniforme. E’, invece, fortemente variegato. I suoi percorsi sono accidentati e spesso segnati da contraddizioni e contrasti.

2. Uno stimolo di ritorno in avanti

Il quadro generale, come abbiamo visto, non si presenta uni­forme. E', invece, fortemente variegato, spesso segnato da con­traddizioni e contrasti. Il denominatore comune P il travaglio culturale di diverso nome ed estrazione. La domanda montante P quella di un futuro pij umano del presente. E, percib, pij par­tecipato dalla gente.

La Chiesa della tenda planetaria, che si impegna a collabo­rare con gli uomini di buona volontB per una cultura di risurre­zione, dispone della speranza energetica della pasqua, in ordine alla ricostruzione delle fondamenta, acculturate nelle varie aree del pianeta alla civiltB dell'uomo. Questo compito va condotto insieme alle altre religioni del mondo, nei progetti degli uomini di buona volontB.

- All'Occidente globalmente considerato le Chiese possono dare l'aiuto pasquale - anzitutto come testimonianza e, poi, nel­la forma di concreta collaborazione - per farvi risorgere la con­sapevolezza della dignitB delle sue radici e dei suoi percorsi. Questi non sono sempre stati storicamente coerenti, ma saranno autentici nella misura in cui rimarranno collegati all'ispirazio­ne originaria.

L'anima di questo processo potrB essere ritrovata lungo i sentieri del rispetto del suo codice genetico. E allora la lea­dership di un tempo, sfilacciatasi in un colonialismo ed economi­cismo di marca essenzialmente materialistica, alla fine del mil­lennio potrB essere trasformata in un servizio di iniziativa pla­netaria, in ordine ad una rinnovata cultura dell'uomo.

All'Occidente, insomma, si chiede l'impegno di eterocentrarsi [7]. Questo implica un cambio radicale di mentalitB, per realizzare l'esodo dall'autosufficienza. Lo spostamento d'as­se va dall'io privilegiato all'io in-determinato, che prescinda, cioP, dalle connotazioni di tempo, di spazio, di censo. E' questa una forma dell'importante recupero dell'anima europea incentrata, con la mediazione dell'ebraismo-cristianesimo, nella sacralitB della persona umana.

E' qui che si innesta il principio dell'universalitB della dignitB di ogni uomo, razza, popolo, comunitB.

Le Chiese d'Occidente, nel recupero dell'alteritB come luogo di venerazione dell'icona teomorfa vivente, devono riproporre la libertB come capacitB di fare spazio alla libertB dell'altro uo­mo, elaborando quella che Armido Rizzi chiama autentica «teologia europea della liberazione»[8]. Essa consiste nel liberare radicalmente la libertB dalle angustie concettuali, progettuali e prassiche di tipo puramente negativo. La libertB non P solo, come sul piano contrattualistico, non nuocere al diverso e rispettarlo sul piano della formalitB giuridica. E', invece, soprattutto farsi respon­sabili del suo bisogno di essere. La concezione del diritto con­trattuale va inverata nella antropologia solidale.

Le Chiese sono chiamate a creare le premesse per questo pas­saggio dell'Occidente dalla pura contrattualitB alla vera solida­rietB.

Insomma, nello spazio che si ritaglia, all'interno dell'Eu­roamerica, di nostalgia del futuro - cioP dell'esercizio della memoria delle radici, per la maturazione dei frutti acclimatati al nostro tempo - va collocato l'impegno delle comunitB cristiane ecumenicamente riconciliate, per essere efficacemente animate a servizio del mondo. Anzitutto di quello ad intra, con un impegno profetico di offerta credibile del significato della vita, in parte smarrito. E poi, di quello ad extra, nel passaggio dall'at­titudine coloniale a quella diaconale, sia sul piano della cultu­ra che della solidarietB. Chi possiede strumenti di sapere, di scienza e di tecnica, non pub abdicare al proprio compito di so­lidarietB nella forma della sussidiarietB, rifiutando la logica dichiarata o serpeggiante dell'«etica del giusto circoscritto».

Le Chiese sono chiamate al compito educativo, in ordine all'apertura degli uomini delle societB opulente verso la mondia­litB, per riempire il vuoto esistenziale fortemente avvertito.

- Circa il groviglio problematico dei paesi dell'Est, va ri­badito che l'Europa, fedele alle sue radici, non pub tollerare il passaggio da Scilla a Cariddi. Dopo lo smantellamento del «mu­ro», non si deve poter passare dal comunismo livellante al consu­mismo degradante.

Uno dei pij seri problemi, che devono affrontare le Chiese dell'Est, P quello dei giovani. Essi rischiano di pencolare nel vuoto di valori, tra il rifiuto degli pseudovalori del passato fallito e l'effetto del tentativo sistematico di sradicamento dei valori spirituali per intere generazioni.

Si sta profilando, in certe zone, il pericolo che questo vuoto sia sostituito oggi con uno di altro tipo: quello indotto dall'accettazione del modello occidentale, materialista e consu­mista. Che, come si sa, invade generazioni intere di giovani, tentate dal nihilismo dei significati.

Per le Chiese dell'Est, sotto questo aspetto il futuro si offre pij impegnativo e laborioso di quello precedente, in cui pur sono maturate vocazioni al martirio per gli alti valori della spiritualitB.

Per le Chiese d'Occidente in particolare, il progetto di cultura pasquale sarB quello di aiutare a far sviluppare le po­tenzialitB giB presenti, anche se a lungo rimaste interrate sotto il gelo degli anni del terrore, come ha indicato il Sinodo straordinario per l'Europa[9].

C'P il pericolo che questi popoli della sofferenza restino soli nel loro compito di risveglio.

Le Chiese sono esperte della pasqua, allorché aiutano a ma­turare i germi delle pasque incipienti. Ovunque c'P un passaggio dall'alienazione alla liberazione nel segno dell'uomo, ivi P pa­squa. Ma quanta fatica a celebrarla e a chiamare al convito di tale festa gli uomini, non solo sul piano della liturgia, ma al­tresé su quello della storia, cioP della politica, dell'economia, della cultura.

Ora, non basta godere per la riapertura dei templi sprangati per decenni. Occorre collaborare alla creazione di quelle pre­messe indispensabili per riqualificare le aree di quei cantieri della storia, perché Cristo continui a risorgere in milioni di uomini in attesa.

Le Chiese che vivono in un Occidente opulento sono sfidate a farsi sale e luce, per evitare che i popoli dell'Est sfuggano da un materialismo collettivistico per incappare in un materialismo individualistico: dal gulag alla giungla.

Davanti alle Chiese che sono in Occidente, dunque, si impone oggi il compito di potenziare i segni della pasqua, imprevedibili ieri, ma responsabilizzanti oggi.

3. Per uno sviluppo integrale

- All'America Latina le Chiese possono offrire un ausilio di liberazione delle coscienze dalle tentazioni, rispettivamente, del sopruso con le logiche del dominio, da una parte, e dello scatenamento di una sia pur spiegabile collera di milioni di uo­mini sub-umanizzati, dall'altra.

La prassi di liberazione evangelica[10] non oppone classe a classe, ma tende a riconciliare gli uomini dis-umanizzati per l'oppressione attiva e quelli per la schiavitj subita, impegnan­doli insieme a costruire la casa della giustizia e della pace[11].

Le Chiese continueranno ad essere, secondo le indicazioni di Medellín, di Puebla[12] e di Santo Domingo[13], come nella prassi messianica, a fianco degli ultimi. Il Messia ha prediletto la categoria dei «senza potere» e vi P appartenuto. E lotteranno con loro con il metodo della resistenza non violenta e della co­scienza vigilante.

Ma la lotta non P solo verbale. E' reale. E consiste nel­l'aiutare a dire di no all'oppressione che sbarra il futuro, pa­gando con l'oppresso gli alti costi di questo metodo resistente [14]. Che in veritB, in India, con la figura di Gandhi credente in Dio e nell'uomo, approdb a risultati di libertB e di progresso.

Di fatto, si sta formando una corrente di opinione, grazie ai gruppi di base di origine ecclesiale e sociale, che creano una cultura centrata sui valori fondamentali del protagonismo del po­polo e della dignitB dell'oppresso.

E' tempo di elaborare una sintesi tra le istanze della teo­logia della liberazione, come riflessione critico-costruttiva della prassi della Chiesa nell'area della giustizia e della pace, e la dottrina sociale, coraggiosa, sé, ma bisognosa di mediazioni territoriali.

E' la Chiesa dell'America Latina, che, rileggendo il suo martirologio della fine del secolo, firmato da vescovi, sacerdo­ti, laici, catechisti, campesinos, ritrova il suo coraggio di di­fesa degli indifesi. E lo vive come autentico luogo teologico di nuova evangelizzazione nei confronti del pullulare di sette fon­damentalistiche e plutocratiche.

E' la Chiesa che si colloca nelle viscere dei processi di liberazione dall'inumano, a fianco degli indigeni, dei negri esclusi, degli anziani emarginati, dei bambini vessati e abbando­nati, di tutti gli oppressi dalla violenza fisica o morbida. E giB se ne vedono i tratti fisionomici.[15]

Le Chiese latino-americane sono percorse da fremiti dello Spirito, nella coscienza della situazione di dramma e della re­sponsabilitB dell'impegno. Medellín, Puebla e Santo Domingo sono pietre miliari di questo itinerario di presa di coscienza[16]. L'i­tinerario P lungo. Il martirologio moderno, segnato dal sacrifi­cio di tanti testimoni, incoraggia gli intelligenti e numerosi animatori di questi gruppi di speranza.

- La cultura della risurrezione fermenterB anche l'Africa, al segno del recupero dei valori caratteristici della comunione, della solidarietB, della famiglia e della festa, tipici delle so­cietB del continente. L'aiuterB a lottare contro la tentazione ricorrente di fatalismo e disfattismo. PropizierB, tra le tribj sorelle, che si riconoscono nella stessa cultura o in culture af­fini, il rinvenimento di referenti comuni e di sentieri di ricon­ciliazione. CollaborerB all'allargamento dell’area culturale, in ordine alla formazione di una classe dirigente. Che, lungi dallo scimmiottare l'arroganza dei colonizzatori, si impe­gni ad africanizzare la via al progresso nella giustizia e nella pace, a risparmiare per la ridistribuzione delle ricchezze e per l'incremento del secondario e del terziario. Senza dilapidare patrimoni, ma instaurando un sistema di partecipazione economica non inquinata dal consumismo occidentale. Queste sono le premes­se atte a creare per il Duemila un modulo di democrazia sostan­ziale, con gradualitB e decisione, mediante il potenziamento dell'istruzione che valorizzi oggi le grandi culture del conti­nente.

CreerB spazi per l'inculturazione africana della fede, come P negli intenti del Sinodo delle Chiese d'Africa.

L'africanitB ha un linguaggio molto ricco, che include come coefficiente essenziale l'affettivitB con le sue emozioni, con le sue sofferenze, con le sue frequenti esultanze quasi frenetiche e, talvolta, con i suoi lamenti da pianto cosmico. Tutto questo cerca spazio comunitario e partecipativo. Di qui, l'esigenza di una liturgia creativa e coinvolgente.

Il pensiero africano ha un suo sistema simbolico-religioso e un proprio linguaggio analogico. E', pertanto, necessario, perché il vangelo arrivi al cuore della gente, che la sua comunicazione passi attraverso queste mediazioni culturali. Questo P il princi­pio fondamentale dell'operazione «africanizzare il cristianesi­mo», dopo aver «cristianizzato l'Africa».

E' un metodo di capitale importanza, oggi, per non perdere un'occasione storica. La scomparsa del cristianesimo dei primi secoli dal Nord dell'Africa va spiegata anche come mancanza di radicazione della fede nella cultura di quel tempo.

E' indilazionabile studiare forme di dialogo con le grandi tradizioni religiose del continente, segnate da toni di afflato cosmico, quasi in stretta parentela con l'universo della natura.

La cultura della risurrezione, inoltre, medierB - con la forza dei suoi principi e con la presenza dei suoi laici nelle strutture dei paesi industrialmente avanzati - progetti e aiuti non soltanto collocati sul piano economico, ma soprattutto su quello delle maestranze e degli investimenti: un reale balzo in avanti della tecnologia a vantaggio della produzione e dell'agri­coltura delle zone pij povere.

Teologicamente, la sintesi da promuovere va operata tra le culture africane e il vangelo. Il suo livello non P concernente solo la promozione delle liturgie e del folklore locale, quanto piuttosto la valorizzazione delle istanze e degli stimoli delle culture stesse.

Il Sinodo africano[17] ha avuto questo obiettivo.

Si tratta, parimenti, di organizzare il coraggio, per fron­teggiare i frazionamenti tribali che bloccano i processi di unitB nazionale e, talora, ecclesiale. Occorre dare una risposta afri­cana a problematiche tipiche di questo continente, in regime di depressione politica ed economica, e bisognoso di speranza.

4. Sintesi come salvezza

- L'Asia dalla grande anima religiosa esige un «ritorno in avanti» al suo codice genetico di tipo sacrale e contemplativo. Ma P necessario che esso sia riletto anche con la mediazione di quell'apporto che Gandhi riconosceva all'ebraismo-cristianesimo e che ha pervaso la legislazione e le culture dell'Occidente, con­cernente l'uguaglianza degli uomini e il rispetto della dignitB di ciascuno senza differenze di classi.

Alle culture d'Oriente, culle di sapienza e di religiositB, il servizio pasquale delle Chiese sarB in ordine al rispetto e alla preservazione - di contro alle tante minacce della identitB popolare - dell'ingente capitale di contemplazione, da investire in forma articolata con quello dell'azione[18]. Come fu del magi­stero esemplare di Benedetto da Norcia con la sua spiritualitB di sintesi tra azione, diventata contemplazione operativa, e contem­plazione, fattasi azione meditativa. Questo patrimonio di valori incarnato pub costituire un contributo all'Oriente, perché man­tenga la fedeltB dinamica al proprio specifico.

E l'azione sarB da intendere, qui, sulla linea tenuta dall'action blondeliana.[19] Essa parte dai dinamismi profondi, per estendersi a tutta la vita, compresa quella delle relazioni sociali e politiche. Quindi, dovrB comprendere anche l'impegno dell'abbattimento delle caste, per riconoscere nel collega in umanitB - fosse anche pária - un candidato ad un futuro segnato dalla presenza del divino.

Le Chiese, in un dialogo fecondissimo con le antiche tradi­zioni religiose e culturali, potranno offrire uno spazio provvido ad entrambe le parti, per il servizio dell'uomo.

A grandi arcate, le aree culturali e religiose dell'Asia so­no tre. C'P, anzitutto, quella del Medio Oriente, a prevalenza mussulmana. Poi viene quella del Sud-Est, segnata da quella indj-buddhista. E, infine, c'P lo spazio immenso dell'Estremo Oriente, a maggioranza confuciana-taoista-buddhista. Questa im­mensa fascia umana P rimasta sotto l'in­flusso dell'ideologia del materialismo, sia di tipo collettivista che neocapitalista. La repressione e le persecuzioni antireligio­se hanno fatto rivivere efferatezze da una parte e resistenze dall'altra, della prima epoca dei martiri. E hanno reso il conte­sto asiatico sempre pij difficoltoso all'accettazione del messag­gio.

La tolleranza, la collaborazione, la condivisione delle ric­chezze e dei progetti comuni formerebbero il tessuto della meto­dologia alternativa alle secolari contrapposizioni, che la storia ha rivelato sterili e distruttive.

L'ecumenismo interreligioso, poi, promuoverB itinerari di ricerca e preghiera verso l'unico Dio dei popoli diversi. Le Chiese sono sollecitate ad approfondire la base della teologia dell'alleanza primigenia insita nella creazione, con Adamo, pri­ma, e poi con NoP[20].

Essa P precedente a quella stipulata con Abramo e MosP. Per migliaia di secoli, Dio ha fatto la sua storia con i popoli della terra. Il suo amore li tocca tutti e cammina con loro. Quest'al­leanza di creazione non P stata mai revocata. Resta, anzi, lo sfondo di quelle successive di elezione.

In riferimento ad essa, e nella misura in cui i popoli non cristiani si avvicinano all'unica via di amore, incarnata e pro­clamata da Cristo, l'unico vero Dio resta il Dio dei popoli tut­ti. Pur proclamato con tanti nomi e pur non ancora conosciuto co­me il «Padre del Signore nostro Gesj Cristo»[21].

Questa visione non infirma l'urgenza della missione, ma le conferisce la condizione per la serenitB e il rispetto dell'ap­proccio al vissuto religioso diverso.

Pare infine significativo sottolineare, nello spazio dell'e­sperienza cristiana del continente, che in Asia la maggior parte dei canonizzati o dei candidati agli altari risultano essere fe­deli laici, uomini e donne della santitB quotidiana esercitata nel mondo, che hanno testimoniato il coraggio della professione della fede fino al martirio. E' la posizione ribaltata dell'arci­pelago dei canonizzati o candidati che si riscontra nell'Euroame­rica, ove gli appartenenti alla gerarchia e alla vita religiosa sono in numero stragrande.

Questo dato pub essere letto, per quella zona della Chiesa, in chiave di fioritura di carismi laicali e in particolare del germe della fede, portato da parte della base ecclesiale sino al­la maturazione massima della testimonianza di fedeltB.

Sarebbe un capitolo interessante, lo studio del connubio tra il germe della fede cristiana e l'attitudine alla contemplazione, con la dedicazione totalizzante all'Assoluto, tipiche di quei po­poli.

Una grande promessa per il futuro del Regno.

- L'Oceania vede la Chiesa alla ricerca di modi nuovi di an­nuncio, pur in condizione di difficoltB strutturali e naturali.

La presenza di laici motivati e sostenuti, spesso anche eco­nomicamente, dalle comunitB - alcuni a tempo pieno in attivitB pastorali, come catechisti o Church-leader - costituisce una fon­data speranza per il futuro. Sono quattro, attualmente, le Confe­renze episcopali del continente: quella del Pacifico, quella del­la Papua-Nuova Guinea e Isole Salomone, quella dell'Australia e quella della Nuova Zelanda.

- In particolare, alla Zona australiana, costituita in gran parte da famiglie di immigrati postbellici, P urgente offrire un aiuto al rinvenimento delle radici, che sono di culture, sia eu­ropee che asiatiche, marcate da una religiositB rilevante. Si tratta di riscattare lo sviluppo di quella regione dal rischio dell'economicismo e dell'efficientismo, che toglie il respiro al­la crescita della spiritualitB.

Le nuove generazioni, in particolare, vanno aiutate a sco­prire, alla luce delle tradizioni originarie, spesso in stato di dissolvenza, e della storia contemporanea, la rischiositB del ma­terialismo, che rende la vita priva di significato e la pone in assetto di giungla e di intolleranza del diverso.

Il futuro dell'Australia va preparato. I discepoli del Ri­sorto hanno la possibilitB di collaborarvi nella costruzione vi­tale della sintesi tra i valori dell'avere e dell'essere, non considerati allo stesso livello, ma in ragione della funzionalitB dei primi ai secondi. Coopereranno, altresé, alla costruzione di una convivenza, sulla base della giustizia, tra uomini di diversa origine ma impegnati ad innalzare una civiltB che P necessaria­mente indivisibile, in un orizzonte di solidarietB e di sussidia­rietB.

L'Australia ha il diritto di attendersi una lievitazione cristiana credibile, per il recupero dell'autentica qualit B della vita. In questo nuovo clima, maturerB l'orientamento della promo­zione e della condivisione del potere, anche a favore dei nuovi arrivati e degli aborigeni, spesso privi di voce incisiva, con una reale democrazia partecipata.

5. Solidariet B , una risposta alla sfida della globalizzazione

In definitiva, le comunitB dei seguaci dell'Emmanuele, che portano nel loro codice il suo segno e il suo seme da maturare e sviluppare, sono chiamate, in questo snodo di civiltB, a farsi chiese-con, chiese-per, chiese-in, rispetto alle culture del pia­neta. E sempre e solo in spirito di servizio all'uomo, icona teo­morfa e candidato al Regno perfetto.

Si tratta di costruire con impegno comunitB di compagnia (con), comunitB di diaconia (per), comunitB di sintonia (in), in ordine alla disponibilitB della salvezza dell'uomo. Si tratta di creare le premesse per la crescita dei valori di libertB, di so­lidarietB, di dinamismo nell'apertura in alto e in avanti. Tanto pij urgente si profila questa meta, quanto pij insidiosa si va facendo la situazione mondiale per la gestione neoliberistica della globalizzazione.

Due opere di lucida analisi dell’economia planetaria guardano la metamorfosi del neocapitalismo al confine tra i due secoli. Ralf Dahrendorf fa un esame approfondito di tipo socioeconomico dal titolo sintomatico Quadrare il cerchio.[22] L’emerito direttore della London School of Economics tocca il polso al pianeta con una documentazione accademica e senza sconti di ottimismi interessati. Presenta la radiografia del mondo pij avvantaggiato e quella del resto del pianeta, che – egli osserva – non sta affondando perché P giB colato a picco. Circa il primo mondo, indica la tendenza all’ipervalutazione dell’economia insieme al collasso delle regole sociali intrecciate all’oscuramento del senso sacro della vita e all’allargamento della disoccupazione, della sfiducia istituzionale e della moltiplicazione dei delitti e dei suicidi.

Si va estendendo, poi, il fenomeno della globalizzazione nel quale «tutte le economie sono intrecciate fra loro in un unico mercato competitivo».[23] Il sistema sottoproduce le cosiddette «persone-zero». Cosé si esprime l’Autore: «Certe persone, per terribile che sia anche solo metterlo per iscritto, semplicemente non servono: l’economia pub crescere anche senza il loro contributo; da qualunque lato lo si consideri, per il resto della societB esse non sono un beneficio ma un costo».[24] Il tessuto sociale cosé si dispiega: «La gente veramente svantaggiata non ha nessun senso di appartenenza. I ricchi possono diventare pij ricchi senza di loro. […] Il prodotto nazionale lordo continua a crescere accanto alla loro miseria».[25] Il binomio che emerge cosé P indicato da Dahrendorf: «La sensazione che si va diffondendo P che tramonti ogni regola e si diffonda una profonda insicurezza».[26]

Della disgregazione societaria, effetto della erosione delle regole sociali, ne parla un’altra analisi documentata. E’ di Edward N. Luttwak, dal titolo anche qui indicativo: La dittatura del capitalismo.[27] Egli lo chiama con un neologismo, turbocapitalismo e si affretta a darne spiegazione in questi termini: «Lo chiamano il libero mercato, ma io lo definisco invece capitalismo sovralimentato, o pij semplicemente turbocapitalismo, perché nella sostanza P diverso dal capitalismo rigorosamente controllato che ha prosperato dal 1945 fino agli anni Ottanta e che ha regalato la sensazionale innovazione della ricchezza di massa alle popolazioni di Stati Uniti, Europa occidentale, Giappone e di qualunque altro paese ne hanno seguito le orme. Ma gli estremi tendono a convergere, e non deve pertanto destare sorpresa che il nuovo turbocapitalismo presenti numerose caratteristiche in comune con la versione sovietica del comunismo. Anche il turbocapitalismo, infatti, offre un unico modello e un unico corpus di regole per tutti i paesi del mondo, ignorando ogni differenza in termini di societB, cultura e temperamento».[28] Continuando l’analisi, l’Autore fa coincidere il progresso senza freni del sistema con lo sfilacciamento societario. «Permettere al turbocapitalismo di avanzare indisturbato significa disintegrare la societB in una minuscola élite di vincenti, in una gran massa di perdenti di diverso grado di benessere o di povertB e in una categoria di ribelli che delinquono. Non ne risulta eroso soltanto il senso di appartenenza sociale ma anche i legami familiari, che richiedono quel tempo invece impiegato per correre in modo sempre pij forsennato».[29] In questo quadro, si registra un trend del livellamento dei valori insiti nelle strutture sociali secondo le loro finalitB umanitarie. «Permettere al turbocapitalismo di trasformare ogni istituzione, dagli ospedali alle case editrici e alle maratone, in aziende finalizzate al massimo profitto ne distorce e ne stravolge il contenuto essenziale».[30]

Il turbocapitalismo P giunto alla riva della geoeconomia, ove le grandi potenze coltivano un nuovo tipo di interconnessione non pij nazionalistico-militare, ma economico-finanziario. Sono tre le caratteristiche fondamentali di questo sistema. C’P, anzitutto, quella della deregulation economica e imprenditoriale. E’ stata instaurata in Inghilterra negli anni Settanta e negli anni Ottanta importata negli U.S.A. E’ il passaggio dall’economia regolamentata a quella deregolata, con la propiziazione dell’avvento della cibernetica, sostitutiva del lavoro umano.

In questo quadro, il fenomeno del ridimensionamento e della ristrutturazione come norma suprema, P l’applicazione del principio dell’economia superiore al lavoro e del lavoro superiore all’uomo. Giovanni Paolo II nella Laborem exercens aveva enunciato il principio contrario: «Prima di tutto il lavoro per l’uomo, e non l’uomo per il lavoro».[31] E, simultaneamente: «Va ripetuto il fondamentale principio: la gerarchia dei valori, il senso profondo del lavoro stesso esigono che sia il capitale in funzione del lavoro e non il lavoro in funzione del capitale».[32] Nel merito del materialismo economicista si auspicava il «superamento radicale» con «cambiamenti che procedono su una linea di decisa convinzione del primato della persona sulle cose, del lavoro dell’uomo sul capitale, come insieme dei mezzi di produzione».[33]

La seconda caratteristica concerne la liberalizzazione delle transazioni finanziarie, grazie al passaggio in tempo reale di fiumi di dollari da un punto all’altro del globo, permessi dalla telematica. I risultati sono costituiti dalla rapiditB degli investimenti e disinvestimenti, dalla facilitB delle speculazioni in borsa e dei giochi finanziari, perversa roulette di oggi, che pub far crollare le piccole imprese e aumentare gli interessi del debito pubblico. E questo, a livello internazionale. Il fatto pij preoccupante sul piano valoriale ed etico P che in queste dinamiche non esiste possibilitB di controllo. Anzi, non c’P per il momento neanche quella del monitoraggio. Il processo non P localizzabile. Lo spazio P solo il cyberspazio. Inoltre, le centrali finanziarie di smistamento di capitali sono nelle mani dei privati e cosé, grazie allo strumento telematico, non possono essere controllate da alcun Governo nazionale o mondiale.[34]

Segue il fenomeno della globalizzazione o riduzione del pianeta ad un mercato unico segnato di fatto dalla deregolazione socioeconomica e liberalizzazione finanziaria. Cosé, la globalizzazione si sta manifestando come l’apparente apertura ai Paesi del sottosviluppo, ma con l’intento di lucrare, speculando sulla miseria e sul pluslavoro col pieno godimento del plusvalore. Questo liberismo selvaggio ha, tra le tante sue ricadute sociali, l’esclusione dei perdenti, in preda alla disperazione per il loro futuro e lo scardinamento della loro famiglia. Per esemplificare, il costo del lavoro – e conseguentemente i salari – nei Paesi del sottosviluppo P imposto dal gioco delle societB economico-finanziarie e imprenditoriali. E, circa il debito pubblico di quei Paesi, va detto che i tassi di interesse sono imposti da talune centrali di potere di quelli opulenti.

Il dislivello tra ricchi e poveri, pertanto, si P accentuato in forma impressionante. Emerge quello che si chiama l’effetto superstar, nella cui area il vincitore stravince e il perdente rischia di non avere pij niente. E tutto questo avviene perché il vincitore ha la forza di cambiare le regole del gioco, anzi di imporre la regola della de-regolazione. E cosé si apre il sentiero di quella che P giB chiamata globo-colonizzazione,.

Questi segnali che minacciano l’uomo concreto, fatto di carne, di sangue e di pianto, possono inscriversi in un trend di pensiero che si presenta come lo scacco all’umanesimo e alla speranza. E questo, per motivi molto gravi. Anzitutto, per l’obiettivo supremo del sistema della globalizzazione che P la massimizzazione dei profitti senza il corrispettivo aumento dei salari.[35] E poi, perché il sistema, con le sue metodiche rigide tese a quell’obiettivo, né pub direttamente curarsi dello sviluppo umano della comunitB, né fa differenza per cib che si produce con il capitale investito: armi o cultura, droga o medicine. E neanche – si potrebbe dire – della qualitB e quantitB della produzione, visto che l’obiettivo pub essere raggiunto anche con la riduzione della stessa produzione. Il mondo della finanza tende a staccarsi e ad autonomizzarsi rispetto a quello della produzione.

La globalizzazione, di fatto, si presenta come una forma di neocolonialismo, che si serve di collegamenti via fax e Internet in modo indisturbato e silenzioso. E’ lo stile esattamente contrario degli antichi colonizzatori, che si distinguevano per il rumore della retorica di conquista e della musica assordante delle fanfare. Il neocolonialismo odierno P pij radicale e tentacolare delle sue origini.

In questo clima, possono prosperare gli imperatori del Terzo millennio, i gestori dell’impero planetario del denaro.[36]

All’inizio del processo, la globalizzazione economica P stata valutata con ottimismo a motivo della sperata distribuzione della ricchezza generale. Onestamente, questo ottimismo non ha pij consistenza. Le crisi dell’ultimo triennio che conclude il secolo – particolarmente in Russia, America Latina ed Asia e nelle paurose ricadute sulle economie africane – indicano la fragilitB dei meccanismi del mercato globale. E queste tempeste sono quasi fisiologicamente ricorrenti.

La globalizzazione economica va contestualizzata in un orizzonte di mondializzazione culturale e spirituale con al centro l’uomo, ogni uomo del pianeta. Che va aiutato (sussidiarietB) in nome della giustizia distributiva alla luce dell’umanesimo a poter godere dei benefici della civiltB (lavoro, istruzione e cura della salute, ricchezza condivisa, accesso agli strumenti), secondo il suo merito e secondo il suo bisogno.

Da parte delle Chiese occorre, dunque, tessere trame di im­pegno solidale, per creare tra i continenti e tra i popoli e all'interno delle nazioni le possibilitB oggettive di un governo mondiale.

E' questo l'obiettivo del XXI secolo. Sarebbe la ga­ranzia di un processo di planetizzazione senza pij polarizzazio­ni, che segnerebbe l'incessante evoluzione del mondo. Sarebbe, questa, l'autentica operazione Populorum progressio, cui solo P consegnata la qualifica di storia per la vicenda umana, come svi­luppo di tutti i popoli e di ogni popolo.

E' questo il contributo indispensabile, che, in uno con le religioni storiche, le Chiese cristiane, segnate dalla nota dell'universalitB, devono dare al mondo, passando dal regime del trono a quello della tenda.

Come il Verbo si P fatto carne e si P accampato con l'uomo[37], cosé le Chiese devono immagliarsi nelle trame della storia dei continenti e piantare le loro tende lungo i tornanti dell'ascesa dei popoli verso i traguardi dell'unitB.

6. Gli ultimi, i primi: prassi messianica

Ultimi vengono denominati, perché privi di pote­re, di spazio, di futuro. Ultimi, perché senza neppure voce da far sentire contro la loro espulsione verso i sotterranei della sto­ria, mai ammessi - se non sul piano formale tanto esaltato dal neoliberismo - a vedere la luce dei loro diritti.

I cultori del Vangelo si pongono davanti al dramma dei sot­touomini in termini di sfida e di stimolo. Se la Chiesa P serva del Dio dell'umanitB e dell'umanitB di Dio, deve collaborare alla realizzazione della sua profezia circa gli ultimi che dovranno diventare i primi[38].

Si tratta di realizzare il programma profetico del Magnificat [39], cantato da una Figlia di Israele, tra gli ultimi nella esti­mazione della grande societB imperiale a lei contemporanea, ma chiamata dall'Altissimo al ruolo di prima nel nuovo assetto del Regno, an­zi, collaboratrice per il suo stesso avvento. Maria P il modello, la guida, la porzione pij condensata del popolo degli anawim di Jahwé, in cammino verso la liberazione.

Gli ultimi sono uomini con pari dignitB. Anzi sono l'icona vivente dell'umanitB nuova. Essi sono il Cristo, in cui egli si P espressamente identificato[40]. Dunque, la sfida va accolta dai di­scepoli in termini di serio impegno, cioP non di formale giusti­zia, ma soprattutto di amore politico che si compromette.

L'amore, come diaconia storica, P legge pasquale. La Prima lettera di Giovanni motiva e fa consistere il passaggio dalla morte alla vita con l'amore concreto. «Ora noi sappiamo di esse­re passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli»[41]. La mediazione storica per realizzare in forma mirata questa norma di vita P la scelta degli ultimi, in regime di esodo. L'amore in­fatti non si esprime in forma generica e nebulosa. E' diret­to invece verso i pij indigenti nella comunitB, perché gli ultimi siano i primi. E' questa la legge del Regno. Il Regno P giB qui. Il futuro P giB presente. E' vero, il Regno abbraccia tut­ti. Non esclude nessuno. Oppressori e oppressi sono coinvolti nel processo di liberazione. Dio li vuole liberare tutti. E, percib, indica agli oppressori di liberarsi dalle schiavitj inte­riori, come disse all'antico faraone di lasciar partire il popolo oppresso[42]. La libertB P indivisibile. Non si pub essere liberi in una comunitB, se ad una parte di essa P negato lo spazio per esercitare questa dimensione. Essa P costitutiva dell'uomo, nella forma interiore. Che, per sua natura, tende a estrinsecarsi ai livelli storici di tipo economico, sociale, giuridico, politico.[43]

La Chiesa assume come sua la prassi messianica. Questa ha come suo centro costante, la scelta degli ultimi. La sua radice P l'atteggiamento della com-passione, che P il soffrire con chi soffre[44], farsi carico dell'immenso peso del mondo. Albert Nolan rimarca la necessitB, per i credenti, di immagliarsi nei propri tempi, con lo stesso spirito con cui Cristo lo ha fatto con i suoi. «Dovremmo cominciare, esattamente come lui, con la compas­sione: compassione per i milioni di esseri umani che muoiono di fame, per quelli che sono umiliati e rifiutati, e per i miliardi di individui del futuro, che soffriranno a causa del modo in cui noi oggi viviamo. E' solo quando, come il buon samaritano, sco­priamo la nostra comune umanitB, che cominceremo a sperimentare cib che sperimentb Gesj»[45]. Ad evitare ogni equivoco, va ben chia­rito che «il termine italiano "compassione" P ben lontano dall'e­sprimere l'emozione che effettivamente Gesj provava. Il verbo greco splanchnízomai usato in tutti i testi, deriva dal termine splánchnon, che indica le viscere, le parti interne del cuore, vale a dire le sorgenti profonde da cui sembrano provenire le forti emozioni. Il verbo greco significa percib un movimento o un impulso che sale dalle viscere, una reazione profonda e senti­ta di bontB»[46]. La Chiesa P il sacramento dell'incontro con Dio, che P pace[47]. Essa deve potersi mostrare, dunque, credibile se­gno di pace, cioP spazio di esperienza della pace, attraverso la tessitura della giustizia. A questo compito P consegnata la sua gioia irradiante come segno: «Beati i tessitori della pace»[48].

7. Il Sud del mondo, nuova frontiera

La scelta degli ultimi si identifica, altresé, con l'impegno concreto per il Sud del mondo, oggi marginalizzato ed eufemisti­camente chiamato «Terzo Mondo», mentre sarebbe pij opportuno de­nominarlo «Mondo degli ultimi». Ed P in questo spazio geo-storico che, come si diceva dianzi, la Chiesa si svilupperB nel Terzo Millennio.

Pasqua P lotta contro la morte in tutte le sue forme. La Chiesa ha la consegna di questa lotta continua. Una delle manife­stazioni di morte pij gravi all'interno della storia P oggi la cosé detta guerra tiepida. Tanto pij insidiosa, quanto pij misti­ficata in un orizzonte che si dichiara tempo di pace.

Alle soglie del millennio, la problematica gigantesca del mondo P una questione di sperequazione economica e sociale, poli­tica e strutturale.

In una visione globale, la divisione del mondo passa tra­sversalmente tra Nord e Sud. E' un problema di penuria di valori e significati per il primo. Di pane e di attrezzature per il se­condo. L'interdipendenza tra aree geografiche e problematiche, evidenzia che la fame dei primi fa strage al Sud, perché la penu­ria dei valori P forte al Nord.

C'P, oggi, una guerra non dichiarata tra il mondo dell'iper­sviluppo e quello del sottosviluppo. Possiamo denominarla una «guerra tiepida».

Alla guerra calda dei trent'anni, cosé da alcuni denominata, che va dal '15 al '45 e che ha come acme le due conflagrazioni mondiali e l'infuriare dei totalitarismi in Occidente, P succedu­ta la guerra fredda tra Est e Ovest, dal '45 all'89 circa. Le si P sovrapposta la «guerra tiepida» tra Nord e Sud. Quella calda P conflitto guerreggiato. Quella fredda P marcata dalla forza della deterrenza e dall'avversione scoperta tra le due grandi potenze e i rispettivi satelliti. Quella «tiepida» P segnata dal maschera­mento delle dinamiche profonde dell'iniquitB e dell'indifferenza. C'P la violenza dell'attacco e c'P quella dell'indifferenza. E' la violenza del non-far-essere, che P causata dall'atteggiamento del non-essere. Il nihilismo dei valori che porta al nihilismo nei rapporti.

La Chiesa, che ha la missione storica di servire l'uomo, in­carnando, additando e rilanciando i valori, si pone in questo im­mane compito come animatrice di essi per il Nord del mondo. E tutto questo, perché il Sud abbia pane e mezzi a sufficienza, per potere elaborare dignitosamente una propria cultura, nel rispetto delle proprie identitB originarie. Per la cessazione di questa guerra pij micidiale perché pij silenziosa.

Cib significa che la Chiesa del Duemila sarB la comunitB che annuncia la pasqua [49], risvegliando la coscienza del valore della solidariet B e della sussidiariet B al Nord, e della dinamicit B e della corresponsabilit B al Sud. Il Sud del mondo non potrB mai decollare a causa del debito pubblico sempre pij disastroso, come ha rilevato la Commissione pontificia Iustitia et Pax in un co­raggioso documento[50].

E' anzitutto in questa direzione che l'opera pasquale della Chiesa deve animare e continuare a stimolare. A tutto vantaggio del Nord stesso, cui necessita avere spazi di mercato. Ma al di lB di questo criterio di interesse, occorre riattivare nel Nord del mondo il principio genetico dell'Occidente - ahimP, spesso tradito - della centralitB dell'uomo e non dell'economico, che resta strumentale.

Parallelamente a questo servizio di etero-stimolazione, le Chiese del Nord dovranno promuovere l'impegno dell'auto-attivazione. Che P sempre segno di vitalitB a misura d'uo­mo. Non, dunque, di tipo frenetico e possessivo, bensé di natura dinamica e oblativa, poiché P qui che si gioca la maturitB di una civiltB intera.

8. Urgenze e stimoli

Per la Chiesa del Risorto, pellegrina nel tempo, sulla soglia del Terzo Millennio i tre compiti urgenti si ri­solvono nel potenziamento del suo codice genetico di koinonía, profezia e diakonía. La koinonía P la forma di essere della Chie­sa. Ekklesía, infatti - termine con cui fu designata la comunitB dei seguaci - significa proprio convocazione unita da vincoli profondi. La fedeltB a questa dimensione comporta la crescita nel dialogo intraecclesiale tra il centro e le chiese locali, e le stesse chiese locali, nonché il confronto e il cammino ecu­menico, anche se arduo. L'atteggiamento di base, pertanto, P il rispetto e la valorizzazione di tutti i carismi, che nello sguar­do di fede assumono la loro connotazione di provenienza dallo Spirito, il quale opera abbondantemente anche alla base. Questo porta la conseguenza di una corresponsabilitB fra i membri del popolo di Dio adulti e maturi.

La seconda dimensione P la profezia. Essa include capacitB di mediazione e di riconciliazione. Si esprime nel dialogo della Chiesa con le culture, che sono in regime di pluralismo.

In ogni cultura sono allo stato di latenza sia i semi del Verbo che le tossine dell'anticristo. Il mondo, come ogni sua espressione geostorica, ha il suo emblema nel campo indicato dal­la parabola evangelica, che contiene mistura di grano e zizzania[51]. E' l'intreccio permanente del mistero del Regno [52] e del mistero dell'iniquit B [53].

L'evangelizzazione potenzia quei semi con l'annuncio delle realtB che li rendono significativi in pienezza. E, inoltre, col­labora a purificare dai veleni che bloccano la crescita dell'uma­no nella storia.

L'essere profetico ecclesiale comporta capacitB di denuncia e di annuncio. Queste operazioni non possono essere compiute a distanza, ma piuttosto nella convivenza e consofferenza, soprat­tutto in ordine alla valorizzazione dei segni in cui campeggia il divino. Questo compito profetico include, dunque, la capacitB, da parte della Chiesa, di inculturazione e di acculturazione, grazie al suo compito di fermentazione, di luce e sale del mondo, indi­cato dal divino Fondatore[54].

Oggi si tratta di riprendere le domande che restano in pie­di, dopo la frantumazione delle ideologie. E' un patrimonio im­menso, che rischia di restare disperso se non viene sottoposto a discernimento. La profezia ecclesiale, oggi, si estende anche al compito di aiutare a leggere le domande sottostanti alle grandi ideologie crollate.

L'essere diaconale della Chiesa, poi, P il prosieguo del servizio di Cristo. Il destinatario P il mondo che Dio ama[55]. Es­so non si presenta indistinto, ma differenziato. Cib deve signifi­care, da parte dell'intervento di servizio della Chiesa, il ri­spetto delle urgenze. Questo esige la scelta preferenziale per le vecchie povert B, i cui titolari sono gli uomini soffocati ancora nei bisogni primari in tutto il mondo, e le nuove povert B che ri­guardano gli uomini oppressi nei loro bisogni fondamentali, quali an­zitutto quello del significato della vita e della vittoria sul non-senso e sul senso di solitudine.

9. Novit B e incarnazione

Orbene, la Chiesa della soglia ha giB dichiarato il suo ruo­lo, con una formula che condensa queste sue urgenze. Ha parlato della nuova evangelizzazione. E l'ha fatto significativamente nella magna charta del laicato[56].

L'evangelizzazione P l'annuncio della novitB sempre antica e sempre fresca come acqua di sorgente dell'amore salvifico di Dio - che dB senso, perché offre approdo alla vita dell'uomo - e della risurrezione del Fi­glio, come primizia e prolessi che tutto nella storia andrB a buon segno.

Quest'annuncio P in linea evolutiva con la «buona notizia»[57] condensata nell'evento-Cristo e da lui - insieme kérux e kérigma, cioP annunciatore e annunciato - diramata. E' nient'altro, insom­ma, che il prosieguo dell'incarnazione della Parola.

E', questa, la pij grande novitB di tutti i tempi. Oggi, tuttavia, questo carattere di novitB non riguarda solo tali con­tenuti, ma si riferisce altresé alla storia, che attende in una forma pij adeguata e rispondente. GiB Giovanni XXIII aveva indi­cato che lo «spirito cristiano, cattolico ed apostolico del mondo intero, attende un balzo in avanti. [...] Altra cosa - proseguiva il pontefice della grande svolta - P il deposito stesso della fe­de, [...] ed altra la forma con cui vengono enunciate le veritB contenute nella nostra dottrina. BisognerB attribuire molta im­portanza a questa forma e, se sarB necessario, bisognerB insiste­re con pazienza nella sua elaborazione»[58].

E', dunque, richiesta una novitB di forma pastorale, intesa come opera promozionale dell'uomo intero, da parte della Chiesa. E' la svolta antropologica che ha caratterizzato i decenni prece­denti all'inizio del terzo millennio e che continua a sfidare la comunitB dei credenti.

Questa forma nuova di pastorale P la risposta alle novit B della storia di oggi.

Anzitutto, la novitB delle frontiere storiche, quali ad esempio le aree della dignitB della persona, della libertB reli­giosa, della famiglia come spazio prioritario per l'impegno so­ciale, le sfere del servizio politico, economico e culturale,[59] e infine gli assetti geopolitici rinnovati con corre­zioni imposte di rotta e di ottica.

C'P, poi, la novitB della visione storica. Oltre che memo­ria, la storia P considerata oggi come progetto. Il vangelo va conseguentemente esplorato nella sua carica progettuale, che P incarnazionale ed escatologica.

Di qua deriva l'altro tipo di novitB, che concerne il metodo e il linguaggio. Occorre non solo essenzializzare il messaggio, liberandolo da interpretazioni culturali datate - problema erme­neutico -, ma anche saperlo comunicare ai diversi livelli con il metodo dell'inculturazione, che – come abbiamo visto – pub essere considerato un aspetto dell'incarnazione. E' un problema capitale per il cristianesimo dell'etB secolare, quello concernente il linguaggio religioso. GiB Dietrich Bonhoef­fer si poneva il problema del «come» parlare di Dio in un tessuto e in uno stile «secolare», per farsi capire dagli uomini della secolarizzazione[60].

10. Nuova evangelizzazione, passaporto per il futuro

Va tenuto presente che oggi il mondo P segnato da quello che viene chiamato da Hans-Magnus Enzen­sberger, impegnato nel dibattito sulla societB tardocapitalisti­ca, «analfabetismo secondario»[61]. Esso P una conseguenza del pen­siero eterodiretto dalla macrostruttura massmediologica, cosé plasmato dalle immagini e plagiato dai messaggi dell'effimero. Il De catechizandis rudibus di Agostino[62] va oggi ripreso e acculturato.

Cib ricordato, P necessario aggiungere subito che esiste uno strato pij profondo rispetto all'analfabetismo secondario, che non P soltanto il rifiuto sistematico del minimo di educazione permanente e della passivitB davanti alle incursioni quotidiane dei mass media, ma consiste nell'ignoranza o nella perdita dei significati fondamentali dell'esistenza. Potremmo chiamarlo anal­fabetismo radicale.

L'analfabeta secondario del primo livello presume di scusar­si, ripetendo l'antico adagio primum vivere, deinde philosophari. A parte che il deinde non arriva quasi mai, si dB la necessitB oggi di riconsiderare il motto secondo l'indicazione del maestro della logoterapia. Viktor Frankl, parlando proprio delle espe­rienze fatte da lui e dai suoi compagni di pena nei campi di con­centramento, ammonisce che quanto pij la vita diventa arida, tan­to pij va risvegliato il bisogno di anteporre il philosophari. Per questo egli intende: «rendere conto a se stessi della que­stione del significato definitivo»[63].

Vita senza significato P vegetazione. Se si vive senza si­gnificato, si muore dentro, senza remissione.

La nuova evangelizzazione non pub non tener conto di questa situazione di analfabetismo semantico-radicale, da cui non di ra­do si presentano affetti anche uomini di religiositB stantia e rassegnata. L'affrontamento di questa situazione consiste nell'operazione chiamata di preevangelizzazione, necessaria a di­sporre all'annuncio. Essa non P una fase al di qua dell'evange­lizzazione, poiché, trattandosi della nuova evangelizzazione e mirata ad un mondo cosé largamente fisionomizzato, ne diventa parte integrante.

Pij radicale dell'ateismo, la mancanza di significato resta la sfida, nell'orizzonte delle sfide del mondo alla Chiesa del futuro. E le vele non possono essere ammainate.

Si pone, infine, come coefficiente della categoria della nuova evangelizzazione, la novit B degli operatori.

Il compito dell'evangelizzazione P di tutto il popolo di Dio, «ognuno secondo il suo stato e la sua condizione»[64].

I contenuti di questa nuova evangelizzazione - che P la vera nuova frontiera - sono descrivibili soprattutto nell'area del mondo, nel tessuto cioP della secolaritB. Questo P il campo d'a­zione del carisma dei fedeli laici.

La nuova evangelizzazione P la nuova coscienza della Chiesa, ridestata soprattutto nella sua falda pij estesa, che P quella del laicato. Il futuro della Chiesa passa attraverso questa cre­scita di responsabilitB e di creativitB pastorale, di autonomia e di senso di appartenenza del laicato, considerato come la presen­za della Chiesa nel mondo e per il mondo di oggi. La nuova fron­tiera dell'evangelizzazione passa per un nuovo umanesimo conse­gnato alle mani dei nuovi laici[65].

Una particolare consegna viene affidata ai giovani per que­sto compito di costruzione del futuro. Sono essi chiamati ad es­sere «soggetti attivi, protagonisti dell'evangelizzazione e arte­fici del rinnovamento sociale»[66].

11. Speranza sulla frontiera

C'P un dialogo tra i giovani di anni e la Chiesa, impegnata a farsi ringiovanire dal suo Spirito. «La Chiesa ha tante cose da dire ai giovani e i giovani hanno tante cose da dire alla Chiesa. Questo reciproco dialogo, da attuarsi con grande cordialitB, chiarezza e coraggio, favorirB l'incontro e lo scambio tra le ge­nerazioni, e sarB fonte di ricchezza e di giovinezza per la Chie­sa e per la societB civile»[67].

La nuova evangelizzazione non P, pertanto, una questione di parole, ma di servizi. Non di propaganda, ma di testimonianza. Non di avere e di potere, ma di essere e di collaborare.

La nuova evangelizzazione P, anzitutto, impegno ad incarnare il trinomio giB menzionato, che caratterizzava la Chiesa ancora calda di Pentecoste. E, ad intra nella Chiesa, P quello di crescere in una koinonía senza steccati, in ordi­ne ad una generale diakonía del mondo senza frontiere. Cosé si potenzierB la capacitB di una credibile profezia e incisiva mar­tyría. Che P quanto dire: una potenziata comunione all'interno della Chiesa ridonderB ad un pij utile servizio agli uomini. La manifestazione di questa comunione per il servizio prende il nome di testimonianza. Essa sarB l'evangelizzazione pij credibile per il futuro, proprio come linguaggio profetico, che invoca l'Alto e si apre in avanti.

Sono, questi, i tratti fisionomici della Chiesa primigenia. Per il compito della nuova evangelizzazione si richiede quindi il ritorno in avanti di una comunitB, che, proprio nella fedeltB al suo codice genetico, ritrova il tono giusto per la fedeltB al fu­turo.

Circa, poi, la forma della nuova evangelizzazione, va tenuto presente lo sguardo di confronto.

Nel primo millennio, le Chiese hanno molte volte operato l'evangelizzazione nella forma ambulante. Paolo, apostolo itine­rante, ne P un simbolo. Nel secondo millennio hanno privilegiato quella istituzionale: fondazione di scuole, ospedali, orfanotro­fi. Nel terzo millennio comincia a farsi strada la tendenza all'evangelizzazione di tipo ambientale. Si tratta di creare tessuti di comunione fra la gente. Le Chiese del terzo millen­nio, proprio come il sale di una terra frantumata, ma bisognosa di essere riconciliata, hanno davanti a loro il campo della me­diazione tra persone, tra gruppi e tra culture.

Saper mediare P essere esperti dei rapporti nelle loro dina­miche psicologiche, culturali e soprattutto spirituali, promovendo e poten­ziando cib che unisce.

Saper mediare P aiutare a decodificare i messaggi manipola­tori e subdoli, per formare coscienze critiche e libere, che sap­piano rapportarsi reciprocamente, puntando sugli aspetti positivi delle loro ricchezze, di cui si possano avvalere l'un l'altro per crescere.

Saper mediare P difendere gli indifesi, strenuamente, senza compromessi, ma con la strategia della non-violenza. Che, ben lungi dall'essere acquiescenza, P invece vera resistenza attiva senza aggressione. Il maestro resta Gandhi, che, ispirato pro­prio al vangelo, ci ha insegnato che la non-violenza non P rinun­cia alla lotta contro il male. E' un altro tipo di lotta, pij attiva e incisiva della stessa legge del taglione, ma collocata sul piano morale.

Saper mediare P educare alla contemplazione e alla ragione­volezza, alla mondialitB e alla informazione critica nonché alla controinformazione, soprattutto ai gesti concreti e perseveranti in un orizzonte di «civiltB dell'amore»[68].

Saper mediare P educare alla cultura della riconciliazione, che ha come base la passione di Dio per il sostantivo (sub-stantia): l'uomo. L'aggettivo P modulazione e non modificazione della sostanza. Che sia rosso o nero, bianco od olivastro, l'uomo resta sempre entitB sacra. Persino se l'aggettivo connota malva­gitB, la passione per il sostantivo significa la speranza co­struttiva che possa cambiare la qualificazione negativa, grazie ad un impegno supplementare di premura per la sua crescita di es­sere.

In definitiva, le comunitB dei credenti nel Cristo risorto, vivendo nel tempo del frattempo, cioP nel provvisorio della sto­ria, ma in attesa della stabile ed eterna metastoria, hanno biso­gno di offrire al mondo in attesa il segno di Giona incarnato, una prassi di risurrezione, come risposta agli stimoli e alle sfide.

Maria, cantb sulla collina di Ain Karim il Magnificat – il vero exsultet ante litteram [69] – l’inno del passaggio permanente nella vicenda della temporalitB dalla preistoria, segnata dalla formula l’uomo sull’uomo all’autentica storia, caratterizzata dalla formula l’uomo per l’uomo. Ella P l’esperta della Pasqua come apertura di varchi di futuri nella cultura della vita.

La Chiesa, che in lei vede il modello condensato della novitB portata dal Figlio, oggi pij che mai – mentre si moltiplicano sengi di morte – P chiamata a riprodurre lo stile della Donna pasquale.

Nella Chiesa, cosé, i credenti collaboreranno, in uno con le altre forme storiche di religione e con tutti gli uomini di buona volontB delle cultu­re del pianeta, a dare la spinta decisiva al futuro dell'uomo, formando l'uomo del futuro.

ALLEGATO DI DOCUMENTAZIONE

E utile qui sollevare alcuni dei nodi pro­blematici della situazione nei differenziati scenari del pianeta.

1. Disagio di civilt B

L'Occidente P come un corpo robusto, ma in preda a convul­sioni di consumismo, frenesie di capitalismo e ossessioni di et­nocentrismo. Edonismo e nihilismo, poi, ne aggrediscono le radi­ci umanistiche. Il relativismo sta diventando quadro di riferi­mento etico. Il materialismo manipolatorio diffonde secolarismo nelle forme crescenti di indifferenza religiosa. Si continua a correre su un treno a velocitB folle. Si comincia a soffrire di vertigini, per tipi di minacce, inimmaginabili solo poco tempo ad­dietro.

Si registra una tendenza spiccata al pragmatismo, con il raffreddamento degli ideali e la diminuita capacitB delle rappre­sentanze politiche, di sintesi e organizzazione degli appelli provenienti dalla base nell'orizzonte di una societB complessa. Di qui, lo scollamento tra paese reale e paese legale, lo scetti­cismo e la sfiducia nelle istituzioni e, spesso, nella realtB della democrazia, pur nata nella civiltB occidentale.

1.1. Nell'Europa, in particolare, si nota una tendenza al calo dell'unitB, dell'idealitB, alla frammentazione.[70]

Il progetto di Stato-nazione, che assicurava un tempo forza socio-politico-economica alle minoranze, oggi sembra che sia sot­to minaccia, a causa della diminuzione del suo energetico di col­lante.

Si recensisce, poi, un forte calo demografico. Al di lB di ogni altra considerazione, questa situazione imporrB fra non mol­to in Occidente la necessitB di nuove aggregazioni intercultura­li, con l'accettazione di solide immissioni di immigranti, ad on­ta dell'ossessione fobica dello «straniero», che si esprime in forme di ricorrenti razzismi e, talora, neonazismi.

Il continente europeo, il cui codice genetico registra una spiccata attitudine di sintesi, assiste - anzitutto a livello di antropologia radicale - al divorzio tra homo faber e homo sa­piens, a motivo sia del materialismo neocapitalistico sia della mentalitB che privilegia il presentismo e l'immediatismo.

Il secondo squilibrio si pone tra il polo dell'unitB e quel­lo della pluralitB. Pur proclamando ed estendendo la democrazia - essendo essa di tipo formale e non sociale ed economica - l'unitB risulta apparenza di convergenza e la pluralitB rischia di essere un aggregato di corporazioni dislivellate.

L'altro squilibrio si pone tra entitB nazionali e sovrana­zionali. I nazionalismi esplodono tra i paesi membri e l'organi­smo collettivo, ove il pij forte tende a far legge. Ad onta dei principi sanciti ad Helsinki nel 1975. Qui si promuoveva la ri­conciliazione e il riconoscimento dei diritti di tutti i titola­ri, per costruire creativamente meccanismi di soluzione pacifica del contenzioso e delle rivendicazioni delle peculiaritB. La ten­denza ivi sottesa si muoveva sulla linea della relativizzazione della sovranitB degli Stati e del potenziamento delle strutture della comunitB europea, atte a difendere i gruppi pij deboli.

Urge costruire la casa comune come Europa sociale, prima an­cora che politica ed economica. Anche all'interno dell'Occidente, infatti, si nota un Nord e un Sud, che sono costituiti sia dal mondo indigeno che dalle fasce ghettizzate della popolazione im­migrata.

La casa comune non pub essere un vecchio fortino arroccato, bensé un nuovo edificio tutto da ricostruire sullo stesso suolo, che abbracci, con i membri attuali della ComunitB, i paesi dell'Est e quelli del bacino del Mediterraneo che hanno chiesto di aderirvi.

E' importante che, in sintonia con lo spirito di una demo­crazia sociale ed economica, oltre che politica, non ci siano piani superiori, abitati da potenze pij forti, e piani inferiori, destinati agli eredi poveri o agli ultimi venuti. E' necessario che non si tratti, cioP, di un castello feudale con il pianterre­no popolato dai servi della gleba. Il pericolo di un Sud in regi­me di inferioritB nel cuore dell'Occidente, P reale. All'Europa della filosofia della individualitB urge sostituire quella del­l'Europa della solidarietB.

1.2. Gli USA - realtB geopolitica originariamente derivata dall'Occidente e ora potenza planetaria - evocano nel mondo, ol­tre che il segno della egemonia, anche il sogno delle masse di profughi ed emigranti.[71]

Costituiscono l'oggetto di speranze ultime del popolo trasversale della disperazione. Sono il paese del self-made man, delle frontiere sempre nuove, della tecnologia a progresso esponenziale geometrico. Si presentano pure come uno dei fattori determinanti dell'equilibrio o squilibrio economico-finanziario a livello planetario - il dollaro P legge - e della politica di controllo e di condizionamento su vaste aree del pia­neta.

Tuttavia, restano, paradossalmente, la terra in cui gli street people, gli homeless sono andati aumentando negli ultimi anni. Se Rio de Janeiro ha le sue favelas e Ankara i suoi gece­kondus, gli USA hanno conosciuto anche i condomini di cartone, con l'aumento dei fenomeni della disoccupazione e della sperequa­zione delle donne nelle qualifiche e nelle promozioni.

Nell'area pij delicata di una civiltB, che P l'educazione degli uomini del futuro, si registra l'aumento del consumo di droga fra i giovanissimi. E' tutto il sistema educativo che viene qui chiamato in causa. La violenza metropolitana ha raggiunto, alla fine degli anni Ottanta e agli inizi dei Novanta, livelli allarmanti. E' sintomatico che a Washington il sindaco sia stato costretto a ricorrere pij volte alla proclamazione del coprifuoco per i minorenni. Emblematica si presenta, parimenti, The Big Ap­ple, la «Grande Mela» di New York, ove si sono registrati media­mente ogni giorno sei agguati mortali. Le cause si sono collegate per un'alta percentuale allo spaccio di droga. La cittB simbolo dell'American dream si P trasformata nello spazio di crudeli ag­gressioni e di dislivello economico. Ce la farB la «Grande Mela» ad evitare di marcire? E' la sfida emblematica per tutta l'America, paese delle contraddizio­ni, specchio planetario delle convulsioni. Una terra alla ricerca della grande promessa di una nuova frontiera. Anzitutto morale.

All'interno di questa nuova situazione di angustia, erompo­no domande etiche, per scongiurare il deragliamento. L'etica ha anche un valore economico. Soprattutto un valore salvifico. La leadership del mondo rischia di diventare mediazione esportatrice di modelli di vita economicamente vivi, ma spesso culturalmente spenti. Urge riproporre forme di ri-scoperta e di ri-lancio di un patrimonio ricchissimo, che affonda le sue radici nell'humus di un messaggio con i suoi quattro fondamentali valori di civil­tB: interiorit B , solidariet B , dinamismo storico, significativit B del dominio cosmico. Solo cosé emergerB la coscienza della tra­sformazione della leadership economica in una nuova cultura di servizio all'uomo.

1.3. Quanto ai Paesi che furono del socialismo reale, la fine del secolo li coglie in una situazione di revisione e di ristrut­turazione profonda. Monolitismo di visione e di potere si sono rivelati senza sbocchi e consistenza storica. Governi che si di­chiaravano emanazioni del popolo, si sono autorivelati poi op­pressioni sul popolo. Economie in dissesto, tecnologie arretra­te, militarismo assorbente, disaffezione dei lavoratori a causa della demotivazione. E soprattutto resistenza a quell'ideologia, che da decenni si faceva capestro della libertB di pensiero e di coscienza. La dissidenza culturale ha tenuto. La religione non ha ceduto nelle coscienze. Anzi, in alcuni Stati si P rivelata sostanza dello spirito del popolo (Volksgeist) e, percib, base non superficiale del rifiuto del regime.

Il vento dell'Est ha soffiato impetuoso. Non P stato im­provvisato, ma preparato dalla coscienza collettiva, nutrita di cultura alternativa. I muri di calce sono crollati con le mura­glie di antiche diffidenze. Ne P nata una variegata rivoluzione, come abbiamo analizzato nel secondo volume, tendenzialmente de­mocratica e non violenta.

Ha vinto la ragionevolezza nella riconquista dei valori e nella loro gerarchizzazione a partire dall'uomo.

C'P quindi un fermento di ripresa culturale, sociale, politica. Si aprono spiragli di futuro diverso. Ma quante tentazioni di ritorno al materialismo in altre edizioni si registrano. Il momento P estremamente delicato. Il socialismo democratico, come principio di socializzazione della ricchezza in ordine alla giustizia distributiva, P un'istanza da non sacrificare al Moloch dell’economicismo capitalista sempre in agguato. Che resta una forma di materialismo.

2. Tra emergenza e impotenza

2.1. L'America Latina, poi, presenta sul limitare del millen­nio un divario sempre pij drammatico tra i ricchi, beneficiari delle protezioni neocolonialistiche esterne, e la massa dei pove­ri, cui P sbarrata la strada alle ricchezze immense del proprio sottosuolo.[72]

E' questa assurda sperequazione che fa scoppiare lo scontro tra l'ideologia del liberismo economico e pragmatico fino al ci­nismo - sostenuto palesemente o surrettiziamente, ovvero ancora sostituito dai poteri militari o paramilitari - e le frange di un collettivismo rivoluzionario di reazione.[73]

In mezzo, un popolo che va assumendo la consapevolezza della sua dignitB e della sua capacitB di camminare autonomamente, mentre tesse un ordito di pazienza costruttiva. E tutto questo, nonostante le pesantezze schiaccianti del sistema finanziario, militare e delinquenziale, relativo soprattutto ai mercanti di morte.

Si registra il massiccio fenomeno dell'esodo dalle campagne e dell'urbanizzazione, sia nella forma coatta a causa dell'espro­priazione della terra, che spontanea per una sfrenata speranza disperata. Si pensi che in America Latina, negli anni Novanta, il 65% della popolazione vive nelle periferie sfilacciate delle me­tropoli. La gente tenta di scappare dall'area della miseria, ma cade in una forma di squallore pij grave, causato dal processo di inurbamento tumultuoso. Il settore primario dell'agricoltura, cosé, va in depressio­ne e, nell'assalto incessante alle cittB, prospera la cultura dell'espediente, dello sfruttamento, della delinquenza. Gli anel­li pij deboli della catena umana - i minori, che vivono abitual­mente sulla strada, i meninos da rua - costituiscono un problema etico, prima che poliziesco.

Sulle soglie del terzo millennio, si calcola nell'ordine dei 20 milioni la massa dei cittadini sudamericani che abitualmente dormono all'addiaccio. I senza tetto si rivelano drammaticamente come i senza tutto.[74]

La terra latinoamericana P segnata in gran parte da parados­si: ricchezze del suolo e miseria del reddito, feconditB di vita e sbarramento alle nuove generazioni. La maggioranza dei poveri sono giovani, e la maggioranza dei giovani sono poveri.

2.2. La situazione dell'Africa, alle soglie del Duemila, pen­cola fra culture originarie, ancora fortemente radicate alla ba­se, e poteri in ricerca di equilibri politici aspri, dopo il lun­go letargo colonialista.[75]

I valori tradizionali - giustizia, so­lidarietB, famiglia - di fatto subiscono manipolazione, per lot­te di potere e di gruppi di integrismo religioso. In molte zone si sperimenta ancora la schiavitj dei bisogni primari, come la fame, la sete, l'alfabetizzazione. La condizione sociale dell'Africa P oggi, in particolare, ad un grado allarmante di depressione economica, politica e sanita­ria, che fa di questo continente la regione pij a rischio del pianeta.

Conflitti etnici, dislivelli di classi, demagogie e despoti­smi, dittature di partiti unici, dilapidazioni del denaro pubbli­co, spese faraoniche per i rappresentanti del regime, inefficien­za della burocrazia e incompetenza dell'apparato economico e fi­nanziario, sistemi di corruzione endemica, professionalitB sca­dente dei quadri, fragilitB dei sistemi scolastico, sanitario e viario, costituiscono il tessuto logorato delle societB del con­tinente. Questi fenomeni si coniugano con frequenti fatti di ca­lamitB naturali, siccitB, carestie, malnutrizione, antiche epide­mie e nuovissimi flagelli come l'AIDS.[76] Gli aiuti internazionali scarseggiano e si mostrano grave­mente inadeguati.[77]

Le tentazioni di totalitarismo e di corruzioni tribali evi­denziano l'effetto del contagio dei sistemi di colonizzazione, aggravato col segno ricorrente del razzismo.

L'intero continente P il pij vulnerato dal colonialismo: «L'Africa P certamente il continente che ha pagato pij degli al­tri lo scotto storico dell'incontro con il mondo esterno. Ricor­diamo soltanto alcuni fatti semplicissimi. Lo schiavismo: dal 1500 al 1800 sono stati trasferiti nelle Americhe almeno 50 mi­lioni di schiavi. Il colonialismo: sono state create pochissime strutture, funzionali pij che altro a noi e ai nostri saccheggi. L'Africa P stata depredata di un sacco di roba. "L'imbragatura" imposta all'Africa dalla Conferenza di Berlino che l'ha spartita in 50 Stati: una scelta allucinante. Infine teniamo presente che quando le indipendenze sono arrivate, le borghesie nere non hanno fatto altro che arricchirsi alle spalle della loro gente, facendo da tramite per la grande finanza internazionale, a spese della comunitB locale. Tutto questo ha portato chiaramente l'Africa ad essere oggi il continente pij povero».[78]

In questa situazione-limite, tentativi di varia estrazione - dai movimenti di indipendenza e di promozione sociale a quelli ecclesiali - sono carichi di futuro. Ci si impegna a trovare sbocchi di partecipazione e di mercato. Soprattutto, si tentano sintesi vitali tra gli antichi valori della africanit B e quelli della modernitB. Che, nel momento dell'acculturazione, bussa con insistenza alle porte del continente.

Sono, queste, le sfide raccolte dalle Chiese africane e ri­lanciate alla comunitB internazionale, responsabilizzata della pressione del debito estero, dell'iniquitB delle contrattazioni commerciali da parte della potenza del Nord nei confronti del Sud sempre pij depauperato.

Il crollo dei regimi dell'Est ha indotto una grave crisi dei regimi filosovietici dell'Africa.

Resta ora lo spazio per la formazione della coscienza demo­cratica. In molti paesi P stata invocata, per questa costruzione indilazionabile, la presenza delle Chiese.[79]

3. Tra scommesse e contrasti

3.1. L'Asia continua il suo itinerario di saggezza secolare, centrata nelle sue religioni ricche di senso della trascendenza, mentre cerca drammaticamente un adattamento a tutti i livelli al­la modernitB.[80]

L'acculturazione di marca occidentale non ne ha travolto l'anima, ma ha segnato i suoi costumi ed i suoi moduli politici ed economici. In taluni paesi - come la Cina - dalla scelta collettivistica, il balzo sociale si P registrato a parti­re dalla arretratezza dei mandarini, ma i costi sono stati molto alti per le tradizioni della coscienza etnica, per la libertB re­ligiosa e civile.

In altri paesi - come il Giappone - il liberalismo economi­co, mentre si P in certo modo stemperato rispetto alla versione occidentale, ha tentato di snaturare l'identitB culturale e il senso religioso della vita e dell'etica ivi radicati, formando un popolo laborioso, sazio, ma carente dei grandi valori. E con la denuncia di un vuoto di esistenza da vertigini.

In altri - come in India - la compresenza delle povertB estreme in larghi strati e dei borghesismi di marca occidentale nelle aree di privilegio non agevola la sintesi popolare nella giustizia e nella democrazia, secondo il messaggio del Mahatma Gandhi, che diede la sua stessa vita per questo ideale.

In tutto l'Oriente P in atto uno sforzo per coniugare l'a­spetto contemplativo, pertinente al suo pij autentico patrimonio, con il dinamismo della modernitB costruttiva.

L'Asia, insomma, P un laboratorio tutto speciale di contra­sti. E' un melting pot di tradizioni religiose tra le pij antiche e di sviluppo tecnologico pij moderno. Le cittB emblematiche - Dhaka nel Bangladesh, Djakarta in Indonesia, Calcutta in India, Shang hai in Cina - registrano una coesistenza di operazioni eco­nomiche spericolate, da una parte, e di masse in stato di mise­ria, dall'altra. Il contrasto storico, poi, P dato dalle culture della non-violenza, discendenti dalle religione a dominanza contemplativa, e le guerre tra le pij cruente di questo secolo, quali quelle - ad esem­pio - tra India e Pakistan, tra Pakistan e Bangladesh, tra Indonesia e Timor-Est, oltre che quelle fratricide coreana, cinese, vietnamita.

A questi problemi si aggiungono quelli atavici, che oggi rendono il contrasto ancora pij drammatico, sullo sfondo della dichiarazione ufficiale della dignitB dell'uomo e della libertB. Si consideri, ad esempio, in India il problema dei dalit o fuori­casta, uomini e donne nell'ordine di milioni e pressoché senza diritti di fatto riconosciuti.

In prospettiva positiva, va poi notato che si va intraveden­do un assetto nuovo del continente pij popoloso del pianeta. L'Asia P un gigante non solo in ragione della quantitB uma­na, ma altresé - come si profila - sul piano della qualitB unita­ria. Nonostante le differenze culturali, politiche, economiche, legislative, si avverte la necessitB di coniugare la qualitB con la quantitB. E questa P data dall'unitB.

Da tempo, la nascita degli Stati Uniti d'Asia era auspicata come necessitB storico-culturale. Tanto pij ora, dopo il crollo dei muri policromi, dopo la caduta del bipolarismo, dopo l'allar­gamento in prospettiva degli Stati Uniti d'Europa e la creazione progettata del mercato comune tra USA, Messico e Canada (North American Free Trade Agreement - NAFTA).

3.2. L'Oceania P in una condizione di frastagliamento geofisico e di rinnovamento geopolitico, a seguito di antichi insediamenti e continue immigrazioni.

Scoppiano, pertanto, problemi nuovi di struttura, accanto a quelli antichi, dovuti alle condizioni di natura. Ieri potevano essere di interesse non primario, ma, nell'orizzonte di un mondo strettamente interdipendente, sono oggi urgenze da affrontare.

Significativa P la condizione della regione australiana, dal pij alto livello di cosmopolitismo del pianeta e di concentrazio­ne metropolitana, congiunta ad una bassissima densitB di popola­zione.

L'Australia P stata trasformata da una enorme immigrazione postbellica, proveniente dall'Europa e dall'Asia. Gli emigranti, che si sono insediati, hanno acquisito, grazie al loro alacre la­voro, un forte senso di appartenenza e di consapevole collabora­zione al boom dell'economia.

Tutto questo, perb, vissuto in un orizzonte di efficienti­smo, via via affermatosi senza solidi riferimenti, ha fatto sor­gere una societB di benessere e di autosufficienza, con tratti di intolleranza per il diverso, che si P affacciato successivamente sulla scena.

Si avverte un grande bisogno, oggi, di dare effettivo potere ai senza potere, siano essi aborigeni che titolari di vecchie e nuove povertB, in numero crescente.

Le sfide al cristianesimo, dunque, qui sono date dall'inva­denza della secolarizzazione, che rischia di degenerare in seco­larismo, all'interno di un processo di postilluminismo, edonismo e relativismo etico, congiunto ad un notevole dislivello economico rispetto agli aborigeni.

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Alfons Sarrach

MEDJUGORJE – UN TERZO OCCHIO IN DONO

Chi di voi ha giB incontrato una donna indiana, magari persino con il pittoresco Sari, avrB sicuramente notato che la maggior parte di loro ha sulla fronte un punto rosso. Il significato pij profondo non P chiaro nemmeno a molti indiani. Alcuni rispondono, se interrogati, che lo portano le donne sposate. Oggi perb persino le ragazzine si adornano con tale punto. Il vero significato P pij profondo. E lo si pub immaginare se si considera la raffigurazione di divinitB indiane anche maschili. Tutte hanno questo punto rosso. Esso ha dunque un significato religioso.

La risposta la troviamo nel Bhagavad – gita, il libro sacro dell’India, spesso paragonato al Nuovo Testamento. E’ descritto il culmine di una grande battaglia sul campo di Kuru (presso l’odierna Nuova Dehli), tra le tribj nemiche, sebbene imparentate, dei Pandavas e dei Kauravas. Quando il re Arjuna, il comandante supremo dei Pandavas, getta lo sguardo dall’altra parte, riconosce molti dei suoi congiunti contro i quali egli deve combattere. Inorridito getta via le sue armi dalla carrozza. In quel momento il conducente si volta e si fa riconoscere come il Krishna, il Dio Vishnu fatto uomo, e lo istruisce sulla coscienza del dovere. Il re, visibilmente sorpreso, implora il conducente affinché gli doni la grazia di poter vedere la sua natura divina e rimuovere l’ultimo dubbio. A questo punto costui pronuncia le parole decisive:

“ Ma tu non sarai in grado di guardarmi con questi tuoi occhi. Ti do un occhio divino. Ed ora osserva la mia forza divina miracolosa” (XI, 8).

In altre parole, un occhio umano non pub guardare la natura divina. Bisogna irrompere. E’ necessaria una grazia speciale, un occhio particolare per vedere e comprendere un po’ Dio e, cib che P pij importante, il rapporto tra Dio e l’Universo, tutto il Suo Creato. Questa immagine non mi ha pij abbandonato da quando mi sono recato per la prima volta a Medjugorje.

La colonna di luce

All’inizio degli avvenimenti di Medjugorje molti dalla valle hanno visto come la croce sul Krizevac si trasformava in una colonna luminosa. Un’allusione alla colonna di fuoco che indicb la strada agli Israeliti pij di tremila anni fa mentre lasciavano l’Egitto.

Da una cultura corrotta verso il deserto, dove Dio per loro – per tutta l’umanitB aveva preparato un nuovissimo elenco di valori secondo i quali doveva svilupparsi la cultura umana e la vita spirituale – nel rispetto di Dio.

Dopo quasi 20 anni di retrospettiva su Medjugorje molti osservano che in loro ha messo radici una visione completamente nuova del mondo e del rapporto con Dio. E’ come se avessero ricevuto a Medjugorje dalla Madonna un “terzo occhio” che li rende capaci di guardare al proprio mondo ed a se stessi con occhi diversi.

La propria visione del mondo P determinata dal fatto di credere o non credere. Qualsiasi lunga discussione a proposito P superflua. Il comportamento di un uomo cambia in maniera sostanziale a seconda che si basi sul consumo o sulla rinuncia. Basarsi sul lusso o sulla vita semplice pub attribuire ad un’intera cultura un livello qualitativo totalmente differente, lo stesso dicasi se ci si basa sul potere o sul servizio per gli altri. La lotta o la pace, cib potrebbe rivoluzionare la storia dell’uomo e dare al futuro una nuova dimensione.

Visione modificata

Il mutamento significa: visione modificata! C’P stato mutamento quando Saulo di Tarso divenne Paolo; egli improvvisamente vide la persona di Gesj, la sua opera sulla terra, i cristiani ed il messaggio di Gesj con occhi completamente diversi, una visione che lo rese capace di identificarsi con coloro che fino a quel momento aveva odiato e perseguitato. Innumerevoli volte la Madonna a Medjugorje ha ripetuto le seguenti parole: “Decidete di scegliere di Dio!”.

Il mutamento, la “decisione di scegliere di Dio”, ha fatto diventare molti pellegrini, talvolta solo pellegrini curiosi, nature profetiche. Profezia non vuol dire interpretazione del futuro, un'incomprensione ancora da verificare, ma ricordo di cib che Dio ha giB rivelato all'uomo, esortazione ed indicazione per uscire da una situazione confusa e disperata. Riconoscere la via che Dio ha giB indicato - da tanto, tanto tempo. Il profeta scruta con il suo occhio spirituale, illuminato dalla grazia, il fuoco fatuo del proprio tempo, le illusioni in cui l'uomo si P smarrito.

In molte manifestazioni religiose, ecclesiastiche, talvolta anche non religiose, sia a livello nazionale che internazionale, si incontrano sempre coloro che oggi si definiscono "amici di Medjugorje". Lo si nota soprattutto in occasione di incontri tra i giovani o durante incontri con il Papa. Essi sembrano rappresentare il cuore spontaneo, non organizzato, di molte attivitB nel mondo. Essi esaminano le regole del gioco della civiltB contemporanea, preparano tutto e sono ovunque lo spirito di Dio, sottovoce e in maniera semplice, indica nuove strade.

Il loro intervento P molto attivo. Sia in aree di crisi che in discussioni spirituali.

Il profeta conosce il proprio incarico prima di tutto su se stesso. Lo stesso dicasi per un movimento profetico. Su questo si valuta se il messaggio, a cui si richiama, provenga da Dio o P da ricondurre solo ad una illusione umana. Medjugorje P stata sottoposta a verifiche quasi ininterrottamente sin dai suoi inizi, purificata, in forni ardenti, dalle calunnie, dai sospetti e dalla diffidenza. E' iniziata con difficoltB nella diocesi di Mostar fino ad arrivare nelle zone pij lontane della terra. Ha superato le verifiche ovunque, tuttavia deve prepararsi ad altre verifiche, talvolta persino pij grosse, nel nuovo secolo.

Il profeta pub avere occasionalmente una lingua tagliente. Il suo compito P di penetrare nella realtB temporale, nel popolo smarrito, talvolta di fare la morale anche ai capi deboli o esitanti. Tuttavia non cercherB mai di sostituirsi alle istituzioni, di subentrare ai responsabili, come spesso fanno i rivoluzionari, i quali, dopo aver travolto con successo il potere, si mettono essi stessi al potere. Cib significherebbe tradire la propria missione. Egli rimane al servizio di qualcosa di superiore. Lo stesso dicasi per Medjugorje.

Il profeta P capace di udire. Egli ascolta attentamente la voce di Dio. Cib che colpisce dopo anni di pellegrinaggio a Medjugorje non P la gioia della discussione, ma la capacitB di udire dei pellegrini. Essi non si stancano di stare ad ascoltare, il che li matura interiormente. Con questo comportamento fanno da modello per tutta la Chiesa.

Una migliore percezione della realt B

L'arcivescovo di Fulda, Johannes Dyba, durante un incontro in Germania su Medjugorje, ha denominato i pellegrini di Medjugorje nella sua cattedrale "una stirpe incallita". Non si pub desiderare elogio migliore pronunciato da un vescovo. In questo modo ha messo in evidenza la stabilitB, la capacitB di resistere tipici di questi gruppi.

Abraham Maslow, uno dei pij noti psicologi del XX secolo ha notato una volta che nel proprio campo ci si occupa prevalentemente di persone malate. Per questo ha avuto l'idea di visitare per una volta persone sane per determinare a cosa potesse essere ricondotto il loro essere sani. Maslow non era particolarmente religioso, la sua curiositB si basava su interessi scientifici. Egli ha scelto per anni persone che colpivano per la loro salute psichica e fisica e ha fatto in questo modo una scoperta sorprendente. Di seguito si indicano solo alcune delle caratteristiche essenziali notate in queste persone:

  • essi possiedono una migliore percezione della realtB
  • sono in grado di accettare se stessi, gli altri e la natura
  • sono orientati verso le problematiche
  • possiedono una stima non logora ed un forte atteggiamento etico e - cosa pij importante:
  • sono stati segnati da esperienze mistiche (perdita dell'Io ed esperienza della trascendenza).

GiB nel 1962 ha saputo riassumere le sue esperienze come segue:

"Quel poco che avevo letto fino allora sulle esperienze mistiche creava collegamenti religiosi, collegamenti con visioni del soprannaturale. Come la maggior parte degli scienziati, incredulo, avevo arricciato il naso e liquidato tutto come un'assurditB, un’allucinazione o isteria, con alta probabilitB, poteva trattarsi di una patologia.……. Ma coloro che mi hanno raccontato o messo per iscritto le loro esperienze non avevano patologie. Si trattava delle persone pij sane che avessi mai incontrato".

Senza esagerazione si pub dire la stessa cosa relativamente a molti gruppi di Medjugorje ed alcuni vescovi lo potranno confermare.

"Faccio nuove tutte le cose" (Ap 21,5)

In teologia si P imposta da tempo la nozione "Gratia supponit naturam", la grazia presuppone la natura. Sulla base di questa regola antica sembra importante non solo - come fa il profeta - ascoltare attentamente Dio, ma osservare anche gli eventi della natura e della storia. Dio non opera al di fuori della storia, Egli opera all'interno di essa. Se vogliamo riconoscere il carattere profetico di Medjugorje, non ci rimane altro che analizzare attentamente gli avvenimenti storici, soprattutto i grandi cambiamenti, e cercare di accertare se esista un rapporto tra i messaggi del cielo e gli eventi di questo mondo.

Una nuova era

Sulla base di quanto sopra, due concetti della nuova era meritano particolare attenzione. A) L'analisi del sistema ci aiuta a comprendere le relazioni, per esempio i rapporti tra l'uomo, la macchina e l'ambiente, gli effetti sulla vita economica e sociale. E' stato infatti scoperto che lo sviluppo economico e il declino si compiono con movimenti ondulatori e che questo ciclo ha basi sociali e persino morali e religiose. Alcuni pensano di aver capito che la mania per il sesso, tipica di questa epoca, nel lungo termine condurrB all'impoverimento economico.

Sin dal Rinascimento e dall'Illuminismo l'uomo ha assegnato a se stesso e alla ragione sempre pij una posizione centrale. Verso la fine del XX secolo abbiamo vissuto il crollo di questa attitudine mentale.

Verso la fine di una fase di sviluppo si crea un enorme ingorgo di nuovi bisogni - talvolta di natura diametralmente opposta. Questo ingorgo si crea quando molti credono ancora al culmine della fase che si sta concludendo. Il dittatore sovietico Josef Stalin nel 1938 fece fucilare l'uomo che aveva scoperto questa regolaritB, il russo Nikolai Dmitrijewitsch Kondratieff. Aveva solo 46 anni.

Di quale concetto aveva paura Stalin?

Proprio oggi abbiamo a che fare con un ingorgo di problemi. Alla fine di un'era contrassegnata dall'edonismo e dal materialismo si sono accumulati inconsapevolmente bisogni di natura spirituale. Essi un giorno verranno allo scoperto. La domanda P quali saranno i valori spirituali o i valori apparenti che si offriranno all'uomo. La Madonna ha anticipato questo sviluppo e ci esorta incessantemente dagli anni 80: "Decidete di scegliere Dio". Tempestivamente - prima che vi abbandoniate a nuovi errori. Ella ha anticipato l'imminente vuoto spirituale dell'uomo per guidarlo nella giusta direzione.

Verso la fine del libro dell'Apocalisse si legge: "Ecco, faccio nuove tutte le cose" (Ap 21,5). Colpisce il fatto che la Madonna nei suoi messaggi usi spesso la parola "nuovo". Nel giugno del 1992 dice: "La mia presenza qui P dunque per guidarvi sul nuovo cammino, il cammino della salvezza". E a novembre dello stesso anno: "....... percib sono con voi per insegnarvi e condurvi verso una vita nuova: quella della rinuncia e della conversione. Solo cosX scoprirete Dio e tutto quello che adesso vi P lontano". Ed un mese dopo: "......... in tutto il mondo c'P tanta mancanza di pace. Percib vi invito a costruire con me, attraverso la preghiera, il nuovo mondo della pace". A febbraio del 1993 continua: "Io sono con voi e vi guido verso una nuova era".

La fine della cultura dell'Io

B) Una delle conoscenze pij importanti nella fisica P lo scambio e l'interazione in tutto il creato. Un aspetto universale e fondamentale della realtB. Uno scrittore ha coniato una formula comprensibile: "Una farfalla in Australia pub provocare un uragano nei Caraibi". Anche le cose pij piccole sono in continua interazione con quelle pij grandi!.

Sulla base di cib si ricorda il messaggio della Madonna del dicembre 1992: "Percib vi invito a costruire con me, attraverso la preghiera, il nuovo mondo della pace. Io non posso farlo senza di voi...... E non dimenticate che la vostra vita non P vostra ma un dono con il quale dovete dare gioia agli altri e guidarli verso la vita eterna". "Attraverso ognuno di voi voglio convertire e salvare il mondo".

Da quasi 20 anni si prega e si digiuna con intensitB a Medjugorje e, attraverso Medjugorje, su tutta la terra.

Al posto della cultura dell'Io, la Madonna introduce una cultura rivolta verso il prossimo. La sua influenza sul destino dell'umanitB e sul corso della storia P probabile - la potremmo contemplare dall'eternitB, col fiato sospeso. Nel 1991 abbiamo assistito al crollo del comunismo. Dal 1981 la Madonna prepara il terreno per un nuovo modo di pensare. Ella ha fatto rotolare una valanga di preghiera. Questa non si deve fermare. Scherzando si potrebbe dire: in maniera molto semplice la Madonna tra l'altro ci ha impartito un grandioso insegnamento sull'analisi del sistema e sulla fisica moderna.

Le tre dita

Il 10 ottobre il filosofo della religione, lo spagnolo Raimond Panikkar ha fatto una dichiarazione degna di nota ad una stazione televisiva tedesca. Egli ha detto che P giunta la fine dell'era del monoteismo. Solo il Cristianesimo ha un'altra visione. Questa dichiarazione pub essere facilmente male interpretata. Ma egli ha voluto dire: Dio P vita e relazione!!!

Alla conclusione della magnifica Via Crucis sul Krizevac si sono aggiunte sul Podbrdo le quindici stazioni della preghiera del Rosario. Il primo quadro mostra con forza dichiarativa la scena dell'Annunciazione a Nazareth. In generale gli artisti di tutte le epoche hanno ritratto Maria immersa nella preghiera, in ginocchio; davanti a lei un po' in alto l'angelo Gabriele. Sul Podbrdo accade il contrario. C'P Maria in piedi e davanti a lei - un po' al di sotto - un angelo enorme, cosX grande che la sua ala destra sfonda la cornice. L'angelo porge a Maria tre dita, egli dunque si mostra come messaggero della TrinitB di Dio. E prima di aver dato il suo messaggio, fa capire con il suo atteggiamento chi sia Maria, non solo "piena di grazia", ma anche - cosa importante per lui - "Regina degli angeli".

Ma le tre dita distese hanno un altro significato. Essi annunciano una nuova era. L'era della TrinitB divina. Dio si riflette in vari modi nel creato e nelle leggi della natura. L'artista ha mostrato un'intuizione geniale. Con Medjugorje si annuncia probabilmente un'era in cui i rapporti tra gli uomini svolgeranno un ruolo chiave. La sua dichiarazione: "Non dimenticate che la vostra vita non P vostra, ........ un dono con il quale dovete guidare gli altri verso la vita eterna... ", cioP la pienezza della vita. La grandezza della nostra responsabilitB P stata da lei indicata nel novembre del 1987 con molta delicatezza e cortesia, quando ha detto: "Dio ha dato a tutti la libertB che io rispetto con tutto l'amore; ed io mi sottometto, nella mia umiltB, alla vostra libertB.".

Il veggente di Kurescek, che ha iniziato il suo compito a Medjugorje, ha voluto ricevere l'ordine di costruire in Slovenia una chiesa per onorare la Santa TrinitB.

Siamo sulla stessa direzione. Dio solleva ancora un po' il sipario che ci separa da Lui. Egli vuole far terminare la civiltB dell'adorazione dell'Io, della glorificazione della ragione umana e vuole imprimere il proprio carattere sull'umanitB, cioP anche sulle relazioni che tengono insieme tutta l'umanitB. Egli vuole portarla pij vicina alla divinizzazione.

Medjugorje P stata e rimane la via e lo strumento. Un riconoscimento davanti al quale possiamo solo inginocchiarci e gridare: O Signore, le tue vie sono meravigliose!

 

[1] Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Decreto sull'ecumenismo Unitatis re­dintegratio (21.11.1964), n. 4, in AAS 57 (1965) 90-107; Id., Decreto sull'apostolato dei laici Apostolicam actuositatem (18.11.1965) n. 14, in AAS 58 (1966) 837-864; Id., Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum ordinis (7.12.1965), n. 9, in AAS 58 (1966) 991-1024.

[2] «Senza accorgercene - nota Walbert Bühlmann - siamo diventati testimoni di un processo storico della chiesa. [...] La chiesa meridionale occupa un ruolo leader, non solo dal punto di vista quantitativo ma anche qualitativo [...] Si potrebbe quindi scrivere una storia della chiesa e dire ap­prossimativamente che il primo millennio cristiano si P svolto sotto la guida della prima chiesa, la chiesa orientale con i suoi primi otto concili, tutti tenuti in Oriente. Il secondo millennio ha assistito all'incontrastato predominio della seconda chiesa, la chiesa occidentale, la nostra chiesa per eccellenza. Nel terzo millennio, probabilmente sarB la terza chiesa, la chiesa del Ter­zo mondo a prendere il comando, sempre perb nell'ambito di un'u­nica chiesa cattolica» (W. Bühlmann, La Chiesa alle soglie del terzo millennio, Dehonia­ne, Bologna 1990, pp. 25-26).

[3] J.-B. Metz, Im Aufbruch zu einer kulturell polyzentrischen Wel­tkirche, in «Zeitschrift für Missionswissenschaft», Münster i. W., (1986) 140.

[4] W. Bühlmann, La Chiesa alle soglie del terzo millennio, o.c., p. 28.

[5] Bühlmann, con l'occhio rivolto al dettato conciliare essenzializ­zato, propone una sorta di decalogo della Chiesa alle soglie del terzo millennio, veramente una e culturalmente policentrica. Le indicazioni sono distribuite a tre livelli: a quello dei problemi ecclesiali, le prime tre; a quello dei problemi relativi ai sin­goli continenti, le altre quattro; a quello, infine, dei problemi mondiali, le ultime tre. «1. Rispetterete il giusto ambito della ragione: l'autonomia delle scienze. 2. Vi considererete popolo di Dio: i laici nella chiesa. 3. Vi riconcilierete con gli altri cristiani: ecumenismo. 4. Vi metterete dalla parte dei poveri. Giustizia: America Latina. 5. Ammirerete la grandezza del Creato­re. Inculturazione: Africa. 6. Riconoscerete l'"Io sono" di tutti i popoli. Dialogo con le religioni: Asia. 7. Accompagnerete i credenti nomadi. Secolarizzazione: Euroamerica. 8. Rafforzerete le fila degli operatori di pace: Iustitia et pax. 9. Svilupperete la terra sulle orme del paradiso: ecologia ed escatologia. 10. Incontrerete il Dio della storia: mistica e politica» (Ibidem, pp. 41-42).

[6] Cf. Gv 3,16.

[7] Cf. Chr. Duquoc, Liberazione e progressismo. Un dialogo teologico tra l'America Latina e l'Europa, Cittadella, Assisi 1989.

[8] Cf. A. Rizzi, L'Europa e l'altro. Abbozzo di una teologia europea della liberazione, Paoline, Cinisello Balsamo 1991.

[9] Cf. Sinodo dei Vescovi. Assemblea Speciale per l'Europa, Siamo testimoni di Cristo che ci ha liberati, Paoline, Milano 1991; S. Palumbieri, L'uomo e il futuro, II/Germi di futuro per l’uomo, Dehoniane, Roma 1993, pp. 146-148.

[10] Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione su li­bertB cristiana e liberazione. Tip. Poliglotta Vaticana, 1986.

[11] P. de Charentenay, El desarrollo del hombre de los pueblos, Sal Terrae, Santander 1992; J. Comblin-J. I. Gonzáles Faus-J. Sobri­no, Cambio social y pensamiento cristiano en América Latina, Trotta, Madrid 1993; J. Comblin, Spirito Santo e liberazione, Cittadella, Assisi 1991; Conferencia Episcopal Paraguaya, Sobre la teología de la liberación, in «Páginas» (1990) 92-113; O. Mar­son, Vangelo chiesa e liberazione. Dibattito sulla teologia lati­noamericana, Concordia Sette, Pordenone 1992; B. Mondin, Los teó­logos de la liberación, Edicep, Madrid 1992; J. B. Libânio, Teo­logia da libertaçno. Roteiro didático para um estudo, S. Paulo 1987.

[12] Celam, Puebla. La evangelización en el presente y en el futuro de América Latina, Bogotá 1979.

[13] Episcopato Latinoamericano, Santo Domingo. IV Conferenza genera­le, Dehoniane Bologna 1992.

[14] J. Sobrino, Il martirio dei gesuiti salvadoregni, La Piccola Edi­trice, Celleno 1990; Id., Resurrección de la verdadera Iglesia. Los pobres como lugar teológico de la eclesiología, Santander 1989.

[15] Nota Piersandro Vanzan: «L'importanza della Chiesa latinoa­mericana non P solo quantitativa, in quanto costituisce ormai il 52% della Chiesa universale, ma P soprattutto qualitativa: essa infatti, negli ultimi anni, P venuta alla ribalta con una serie di iniziative teologico-pastorali cosX interessanti da far conia­re il motto: "Le caravelle ritornano". Si pensi alle ComunitB Ec­clesiali di Base (CEB) o alla Teologia della Liberazione, all'op­zione preferenziale dei poveri o all'inculturazione della fede - intese come forza evangelizzatrice degli ultimi, nella misura in cui si riappropriano del Vangelo» (P. Vanzan, Da Puebla a Santo Domingo. L'«instrumentum laboris» della IV Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano, in «La CiviltB Cattolica» 3415 [1992] 14-15).

[16] Nell'ultima parte del documento di Santo Domingo si legge circa la promozione integrale dei popoli latinoamericani e caraibici: «Facciamo no­stro il grido dei poveri. Assumiamo con rinnovato ardore l'opzio­ne evangelica preferenziale per i poveri, in continuitB con Me­dellín e Puebla. Questa opzione, non esclusiva né escludente, il­luminerB, a imitazione di Cristo, tutta la nostra azione evange­lizzatrice. In tale luce invitiamo a promuovere un nuovo ordine economico, sociale e politico, conforme alla dignitB delle perso­ne considerate singolarmente e nel loro insieme, dando impulso alla giustizia e alla solidarietB e aprendo loro orizzonti di eternitB» (Episcopato Latinoamericano, Messaggio ai popoli dell’America Latina e dei Caraibi, in Santo Domingo. IV Conferenza Generale, Conclusioni, pp. 132-133).

[17] Cf. Lineamenta. La Chiesa in Africa e la sua missione evangeliz­zatrice verso l'anno 2000: Sarete miei testimoni. E' la «prima tappa del cammino verso la celebrazione del Sinodo per l'Africa. Il testo P stato consegnato alle Conferenze episcopali dell'Afri­ca e del Madagascar il 24 luglio 1990. Cinque gli ambiti previ­sti: annuncio, inculturazione, dialogo, giustizia e pace, comuni­cazioni sociali» (citato da W. Bühlmann, La Chiesa alle soglie del terzo millennio, o.c., pp. 139-140).

[18] B. Chenu, Teologie cristiane dei Terzi Mondi: teologia latinoame­ricana, teologia nera americana, teologia nera sudafricana, teo­logia asiatica, Queriniana, Brescia 1988; A. Pieris, Una teologia asiatica della liberazione, Cittadella, Assisi 1990.

[19] Cf. M. Blondel, L'azione, La Nuova Italia, Firenze 1973. L'azione P intenzionalitB, cioP tensione ad andare continuamente al di lB di sé. E' dimensione della mente, che opera tanto come attivitB teoretica quanto come attivitB pratica. Abbraccia insieme il versante del pensiero e della volontB e si fa impegno consapevole di ordinare il mondo all'uomo. Sfocia nella vita sociale, ma non vi si esaurisce. Infatti, come espressione dell'autotrascendi­mento incessante dell'uomo, si coglie come «invincibile bisogno di impossessarsi di Dio». Questo obiettivo supremo dell'azione ritorna sui livelli umani del suo esercizio, per ricaricarli e risignificarli. Che P quanto dire, l'azione P la spinta dell'uo­mo che tenta, in forma operativa, di rendere il mondo un ordine di convergenze di volontB al bene della comunitB. E nel prosie­guo si riscopre tendenza verso Dio, che P il fondamento della stessa comunitB e lo sprone decisivo al suo servizio.

[20] Nota Bühlmann in merito: «Il Cosmogral dell'architetto austriaco Clemens Holzmeister dovrebbe essere costruito anche in altri luo­ghi: una costruzione di otto cappelle circolari a disposizione circolare, a rappresentare le otto religioni mondiali, e al cen­tro, accedendo dalle cappelle, un santuario destinato, per deter­minate occasioni, alla preghiera in comune. Utopica, paradisiaca musica per il terzo millennio!» (W. Bühlmann, La Chiesa alle so­glie del terzo millennio, o.c., p. 159).

[21] Col 1,3.

[22] R. Dahrendorf, Quadrare il cerchio, Laterza, Bari 1996.

[23] Ibidem, p. 19.

[24] Ibidem, p. 36.

[25] Ibidem, p. 42.

[26] Ibidem, p. 44.

[27] E. N. Luttwak, La dittatura del capitalismo. Dove ci porteranno il liberalismo selvaggio e gli eccessi della globalizzazione, Mondadori, Milano 1999.

[28] Ibidem, pp. 42-43.

[29] Ibidem, p. 274.

[30] Ibidem, p. 275.

[31] Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Laborem exercens, n. 6 in AAS 73 (1981) 577-647.

[32] Ibidem, n. 23.

[33] Ibidem, n. 13.

[34] Nel Terzo Mondo, poi, la deregulation economica e la liberalizzazione finanziaria spazzano via quella parvenza del vantaggio dell’apertura del mercato del lavoro, che poteva esserci, sia pure con lo sfruttamento dei pij poveri.

[35] «Negli ultimi cinque anni negli USA i corporate profits – i profitti delle grandi corporazioni – sono cresciuti del 19%, mentre i salari sono rimasti fermi: si dB per pacifico che i costi della globalizzazione devono essere pagati dai lavoratori, e gli enormi profitti devono andare agli investitori e ai manager che gestiscono il capitale investito» (W. Pfaff in «International Herald Tribune – Los Angeles Time» (21 agosto 1999), riportato da E. Chiavacci, La terra P di tutti, in «In Dialogo», 3 [giugno 1999] 15).

[36] Il rapporto ONU di fine secolo dell’agenzia UNDP per lo sviluppo fa i conti nelle tasche dei tre uomini pij potenti del pianeta. E precisa che il reddito di Bill Gates, fondatore, presidente e maggiore azionista di Microsoft, di Robson Walton, detentore del controllo della catena dei supermercati Wal-Mart, e di Haji Hassani Bolkiah, sultano del Brunei, ammontano alla somma dei PIL dei 43 Paesi pij poveri, situati per la maggior parte in Africa. E i duecento uomini pij facoltosi raggiungono una ricchezza complessiva pari al reddito globale del 41% della popolazione mondiale. Potenzialmente si pub dire che i tre imperatori economici del pianeta hanno lo spazio per comprarsi il lavoro di 43 Nazioni.

[37] Gv 1,14.

[38] Cf. Mt 19,30; 20,16; Mc 9,35; 10,31; Lc 13,30.

[39] Lc 1,46-55.

[40] Cf. Mt 25,31-46.

[41] 1Gv 3,14.

[42] Cf. Es 5,1.

[43] La Chiesa che costruisce il Regno (Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Lumen gentium, n. 5) deve poter coniugare al presente, progressivamente, il verbo della legge del Regno. Co­sX: gli ultimi stanno diventando i primi. La sorpresa pij viva P quella di trovare Cristo nella sua freschezza, laddove non lo si aspetterebbe. E spesso coloro che potevano essere considerati destinatari dell'evangelizzazione, gli ultimi anche del degrado morale, diventano gli evangelizzatori, cioP strumenti di comuni­cazione, della bontB e della potenza d'amore del Dio imprevedibi­le. Significativa P la testimonianza di Frei Betto, nella sua esperienza fra gli ultimi: «Il Signore mi ha gettato nei sotter­ranei della vita e della storia. E dove in altri tempi pensavo che esistesse solo malizia, indifferenza e peccato, ho trovato la grazia, la fedeltB, l'amore e la speranza [...]. Cristo non ha paura di essere tentato e diffamato e chiamato Belzebj, amico delle prostitute e dei peccatori. Non gli importa che lo chiami­no ubriacone e "buona forchetta", irrispettoso della legge e in­differente alle tradizioni. Cristo va dove noi non abbiamo il coraggio di andare. Quando lo cerchiamo nel tempio, Lui si trova nella stalla; quando lo cerchiamo tra i sacerdoti, si trova in mezzo ai peccatori; quando lo cerchiamo libero, P prigioniero; quando lo cerchiamo rivestito di gloria, P sulla croce ricoperto di sangue. Noi abbiamo creato le frontiere. Abbiamo diviso il mondo tra buoni e cattivi. Pensiamo che Dio si sottometta alle nostre idee, ai nostri preconcetti, alla nostra razionalizzazio­ne. Quante volte invece egli era seduto sulle scale delle nostre portinerie, aspettando un tozzo di pane» (Frei Betto, Dai sotterranei della storia, Mondadori, Milano 1971).

[44] Cf. Rom 12,15.

[45] A. Nolan, Gesj prima del cristianesimo. Un vangelo di liberazio­ne, Dehoniane, Bologna 1986, p. 199.

[46] Ibidem, p. 42.

[47] Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Lumen gentium, n. 1.

[48] Mt 5,9.

[49] In una lettera scritta da Fr. Roger Schutz, durante il Concilio dei giovani a Taizé, si legge: «Una domanda del Cristo ti serra la gola: quando il povero aveva fame, mi hai riconosciuto in lui? Dov'eri quando condividevo la vita con il pij misero? Sei stato un oppressore, fosse pure di un solo uomo sulla terra? Quando dicevo: "Guai ai ricchi", ricchi di denaro, ricchi di dot­trinarismi, hai forse preferito i miraggi della ricchezza? La tua lotta non pub essere vissuta in una girandola di idee che non si concretano mai. Infrangi le oppressioni dei poveri e degli sfruttati: come testimone stupito vedrai sin d'ora sorgere dei segni di risurrezione sulla terra. Dividi i tuoi beni in vista di una giustizia pij grande. Non rendere nessuno vittima di se stesso. Fratello di tutti, fratello universale, va' deciso verso l'uomo che non conta, verso i rifiutati» (Taizé - Il concilio dei giovani. Perché?, Morcelliana, Brescia 1975.

[50] Commissione Pontificia «Iustitia et Pax», Un approccio etico al debito internazionale, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1987.

[51] Cf. Mt 13,24-30.

[52] Mc 4,11-12; cf. Mt 11,25-26.

[53] 2Tes 2,7.

[54] Cf. Mt 5,13-14.

[55] Cf. Gv 3,16.

[56] Cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, n. 34.

[57] Mc 1,1.

[58] Giovanni XXIII, Discorso nella solenne apertura del Concilio (11.10.1962), in AAS 54 (1962) 792 (trad. it. in Enchiridion Va­ticanum, I, Dehoniane, Bologna 197610, p. [45]).

[59] Cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, nn. 37-44.

[60] Cf. D. Bonhoeffer, Lettere a un amico, Bompiani, Milano 1969, p. 82.

Uno dei testi pij noti che pub esprimere questa premura bon­hoefferiana per l'uomo P il seguente: «Essere cristiano non si­gnifica essere religioso in un determinato modo, fare qualcosa di se stessi [...] in base ad una certa metodica, ma significa esse­re uomini; Cristo crea in noi non un tipo d'uomo, ma un uomo» (Id., Resistenza e resa, o.c., p. 441). Lucidamente commenta C. Cantone: «Forse P realmente questo il punto odierno di approdo dell'esperienza cristiana, giunta in tal modo, credo, ad uno sta­dio di ulteriore "maturitB", come esperienza, precisamente della radicale identificazione kenotica di Dio con l'uomo: un'esperien­za pertanto non pij "sacrale" (con tutte le "barriere" e i "se­questri" che il sacro comporta), ma propriamente "secolare" di Dio e percib stesso aperta [...] al pluralismo umano [...] delle "vie", attraverso cui, proprio nella rivelazione [...] della "ve­ritB dell'Uomo", che non pub essere che "veritB-amore-comunione liberatrice", si rivela in ultima istanza la "VeritB-Amore-Comunione liberatrice" e cioP salvifica di Dio» (C. Cantone, Ri­lievi introduttivi: per una coscienza religiosa planetaria, in «Cronache e commenti di studi religiosi, 5/Religione e religio­ni», [=Quaderni di Salesianum 16], LAS, Roma 1989, pp. 17-18).

[61] «L'analfabeta secondario P il prodotto della fase pij attuale dell'industrializzazione. Nelle societB industriali avanzate, l'analfabeta che firmava col segno di croce crea un disturbo e deve essere eliminato. Serve invece l'analfabeta secondario, che pub essere chiunque: un dirigente, un politico, un semplice ope­raio, un uomo in grado di firmare assegni o di decifrare un dia­gramma statistico, perb con una caratteristica: P un uomo che fondamentalmente non capisce che cosa gli sta succedendo. La Tv P per lui il medium ideale [...] La vecchia concezione borghese della cultura diceva pij o meno: se non hai letto i classici, non farai parte del club. Questo P sbagliato. Oggi una buona parte della borghesia ha scelto l'analfabetismo secondario. Conosco pa­recchi dirigenti che non leggono nulla, mai, e certo non gli sono mancate le occasioni e gli stimoli. La loro scelta di diventare analfabeti secondari P quindi chiaramente deliberata» (H. M. En­zensberger, in una intervista a «La Repubblica-Mercurio» [30.6.1990] 13). Cf. S. Palumbieri, L'uomo e il futuro, II, p. 227.

[62] Agostino, De catechizandis rudibus; PL 40,309-348.

[63] V.-E. Frankl, Psychotherapy and existentialism. Selected papers on Logotherapy, Washington Square Press-Pocket Books, New York (NY) 1985, p. 107.

[64] Francesco di Sales cit. da Giovanni Paolo II, in Christifideles laici, n. 56.

[65] Cf. S. Palumbieri, Laici nuovi per un umanesimo nuovo, in Aa.Vv., Laici per una nuova evangelizzazione. Studi sull'esortazione apo­stolica «Christifideles laici» di Giovanni Paolo II, a cura di M. Toso, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1990, pp. 157-184.

[66] Giovanni Paolo II, Christifideles laici, n. 46.

[67] Ibidem.

[68] Paolo VI, Discorso per la chiusura dell'Anno Santo (15.12.1975), in AAS 68 (1976) 143-145, cit. p. 145.

[69] Cf. S. Palumbieri, Um «Magnificat» per il Terzo Millennio. Dimensione antropologica del Cantico, Paoline, Milano 1998, pp. 108-114.

[70] Cf. A. O. Hirschman, Tre continenti. Economia, politica e svilup­po della democrazia in Europa, Stati Uniti e America Latina, Ei­naudi, Torino 1990; P. W. B. Phillips, Wheat, Europe and the GATT. A political economy analysis, Pinter, London 1990; J. M. van Brabant, Remaking Eastern Europe. On the political economy of transition, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 1990; L. Spa­venta, The political economy of European monetary integration, «Quarterly Review - Bancoper», 172 (3/1990) 3-19; P. Ciocca, L'unione monetaria d'Europa fra politica ed economia, in «Impresa Banca», 3 (9/1990) 13-17; S. M. Cherian, End-Independent legal rules and the political economy of expanding market societies of Europe, in «Univ. Essex Department of Economics. Discussion pa­per», 372 (1990); Aa.Vv., Prepararsi all'Europa, III/Unione poli­tica e sviluppo economico, a cura della Confindustria, SIPI, Roma 1992; G. Gomel-S. Rebecchini, Migrazioni in Europa. Andamenti, prospettive, indicazioni di politica economica, Banca d'Italia, Roma 1992; A. Koeves, Central and East European economies in transition. The international dimension, Westview, Boulder 1992; D. Lorenz, Economic geography and the political economy of regio­nalization. The example of Western Europe, in «American Economic Review - Paper & Proceedings», 2 (5/1992) 84-87; «European Jour­nal of Political Economy», 1 (2/1992) (contiene, tra altri, ar­ticoli di S. M. R. Kambur, Policy choice and political con­straints, pp. 1-29; U. Broll-J. E. Wahl, International inve­stments and exchange rate risk, pp. 31-40; C. Weinhardt, How to measure price progression. A first axiomatic approach, pp. 115-127).

[71] A. O. Hirschman, Tre continenti. Economia politica e sviluppo della democrazia in Europa, Stati Uniti e America Latina, o.c.; P. R. Krugman, Il silenzio dell'economia. Una politica economica per un'epoca di aspettative deboli, Garzanti, Milano 1991; F. Th. Cargill-Sh. Royama, Il processo di trasformazione dei sistemi fi­nanziari. Le esperienze giapponese e statunitense a confronto, Cariplo, Milano 1991.

[72] Aa.Vv., Dalle armi alle urne. Economia, societB e politica nell'America Latina degli anni Novanta, a cura di G. Urbani-F. Ricciu, Il Mulino, Bologna 1991; Aa.Vv., The political economy of agricultural pricing policy, I/Latin America, a cura di A. Valdes-A. O. Krueger, M. W. Schiff, John Hopkins Univers. Press for the World Bank, Baltimore 1991; M. Plane-A. Trento, L'America Latina nel XX secolo. Economia e societB. Istituzioni e politica, Ponte alle Grazie, Firenze 1992.

[73] H. Assmann-F. Hinkelammert, A idolatria do mercato. Ensaio sobre economia e teologia, Vozes, S. Paulo 1989.

[74] Cf. Pontificia Commissione «Iustitia Et Pax», La Chiesa e il pro­blema dell'alloggio, Lettera di Giovanni Paolo II del 27.12.1987, in Enchiridion Vaticanum, 10/1986-1987, Dehoniane, Bologna 1989, §§ 2425-2502, pp. 1636-1697.

[75] Cf. B. M. Magubane, The political economy of race and class in South Africa, Monthly Review Press, New York-London 1979; Aa.Vv., Apartheid - Capitalism or socialism? The political economy of the causes, consequences and cure of the colour bar in South Africa, a cura dell'Institute of Economic Affairs, IEA, London 1986; Aa.Vv., Adjustment or ... The African experience, a cura di A. Mahjoub, (=The UN University Studies in African Political Econo­my), ZED, London 1990; S. Amin, Maldevelopment. Anatomy of a glo­bal failure, (=The UN University: 3rd World Forum Studies in African Political Economy), ZED, London 1990; Aa.Vv., Economic policies for a new South Africa, a cura di D. Lachman-K. Bercu­son, International Monetary Fund, Washington 1992; Aa.Vv., The political economy of agricultural pricing policy, III/Africa and the Mediterranean, a cura di A. Valdes-A. O. Krüger-M. W. Schiff, J. Hopkins Univ. Press for The World Bank, Baltimore 1992.

[76] «L'OMS stima che il continente conti giB ora almeno cinque milio­ni di adulti sieropositivi e 700.000 malati. [...] Secondo le proiezioni dell'OMS, il continente potrebbe contare, da qui alla fine del secolo, tra 20 e 25 milioni di sieropositivi. GiB ora, soprattutto nell'Africa orientale [...], interi villaggi sono de­cimati, senza parlare delle cittB, alcune delle quali contano fi­no al 30% di sieropositivi» (Il mondo dopo il crollo del comuni­smo e la guerra del Golfo. Verso un nuovo ordine mondiale?, edi­toriale, in «La CiviltB Cattolica», 3401 [1992] 417-430, cit. p. 426).

[77] E' sintomatico notare che «il programma dell'ONU per lo sviluppo dell'Africa l986-l990, adottato nel maggio 1986, si P mostrato gravemente fallimentare. Il debito del continente P aumentato di circa 20 miliardi di dollari per anno durante il decennio». (Cl. Brisset, Famines et guerres en Afrique subsaharienne, in «Le Mon­de diplomatique» [juin 1991] 8-9).

[78] A. Zanotelli, Il coraggio dell'utopia, o.c., p. 27. Questo cre­dibile testimone del marasma africano prodotto dal colonialismo riporta in sintesi i dati statistici della Banca mondiale, che «ci aiuta a capire dove sta andando l'Africa e la tragicitB del momento che sta vivendo. Secondo i calcoli della Banca, nel 1980 circa il 60% della popolazione africana viveva sotto la soglia della povertB assoluta. La povertB assoluta P definita dall'ex ministro della difesa americana McNamara, come una condizione di vita cosX limitata da malnutrizione, analfabetismo, malattie, al­ta mortalitB infantile, bassa speranza di vita, da essere al di sotto di qualsiasi definizione razionale di decenza umana. La Banca mondiale prevede che andando l'economia come al presente, in Africa nel 1995, sarB l'80% della popolazione a vivere sotto la soglia della povertB assoluta. E' la tragedia di un continen­te, in particolare P la tragedia dei bambini che nascono e vedono il loro futuro bloccato» (Ibidem, pp. 27-28).

[79] «In Paesi come Benin, Congo, Gabon, Togo, Zaire e Mali, P stato scelto un vescovo cattolico a presiedere le Conferenze nazionali di tutte le forze vive (in alcuni casi, vere e proprie Assemblee costituenti) incaricate di elaborare nuove costituzioni e di in­dire le elezioni politiche» (E. Tresoldi, Africa perla preziosa, in «Jesus», 15/3 [1993] 98-102, cit. p. 102).

[80] J. P. Lehmann, Politics and the Pacific economic miracle. Dicta­torship and development in Pacific Asia - Wider implications, in «International Affairs», 4 (1985) 591-606; Aa.Vv., Il Sud-Est asiatico nell'anno della tigre. Rapporto 1987 sulla situazione politica ed economica dell'area, a cura dell'Institute of Sout­heast Asian Studies, Fondaz. Agnelli, Torino 1988; Aa.Vv., Il Sud-Est asiatico nell'anno del serpente. Rapporto 1989..., Torino 1990; G. Fodella, Dove va l'economia giapponese. L'Estasia verso l'egemonia economica mondiale, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1989; S. Manzocchi, The political economy of EEC-Asian NIC's re­lations. A structuralist perspective on 1992, in «Rivista di di­ritto valutario e di economia internazionale», l (3/1991) 45-61; Aa.Vv., Modernization in East Asia. Political, economic and so­cial perspectives, a cura di R. H. Brown-W. T. Liu, Praeger, We­stport 1992; Aa.Vv., The political economy of agricultural pri­cing policy, II/Asia, a cura di A. Valdes-A. O. Krüger-M. W. Schiff, J. Hopkins Univ. Press for The World Bank, Baltimore 1992.

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